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Il padre

Regia di Fatih Akin vedi scheda film

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La recensione su Il padre

di barabbovich
6 stelle

1915. I turchi si rendono responsabili di uno dei più efferati genocidi della Storia: quello del popolo armeno. Nazareth, mite fabbro di Mardin che fin dal nome sembra dover portare la croce della sua immagine cristologica, viene separato dalle sue figlie e condotto al massacro. Gli viene risparmiata la vita ma perde l’uso delle corde vocali (è a quello che fa riferimento il titolo originale del film, The Cut). Durante la sua lotta per la sopravvivenza viene a sapere che le sue figlie gemelle sono ancora vive. Comincia così per lui un’odissea che lo porterà attraverso la Siria, il Libano, poi a Cuba e, infine, in America (da Minneapolis alla provincia), sempre alla disperata ricerca delle due ragazze.

Autore di opere di pregio come La sposa turca, Ai confini del paradiso e Soul Kitcken, il regista tedesco di origini turche Faith Akin firma un melò di grana grossa che, nel mettere in scena la via crucis del protagonista che ha il volto dolente di Tahar Rahim (già noto per The Mauritanian e Il profeta), inanella una serie infinita di disavventure che lasciano sulle quinte la tragedia del popolo armeno per concentrarsi sulle peripezie del singolo, in una sineddoche narrativa che colpisce al cuore in maniera intermittente ma che in più occasioni rasenta il polpettone. Incapace di districarsi tra ambizioni da kolossal e narrazione storica, il regista – autore anche del copione – finisce così col perdere l’occasione per raccontare una tragedia che nel cinema ha trovato pochissimo posto (Ararat di Egoyan e La masseria delle allodole dei Fratelli Taviani sono tra i rari casi).

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