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Get on Up

Regia di Tate Taylor vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Get on Up

di rflannery
6 stelle

Solido biopic firmato dal regista di The Help, Tate Taylor che da quel film si porta in dote due attrici in gamba come Viola Davis (nei panni sofferti della madre del protagonista) e Octavia Spencer (in quelli della donna che alleverà il giovanissimo Brown). Prodotto da Brian Grazer e, curiosamente, da Mick Jagger omaggiato in un episodio dei tantissimi che Taylor ricorda della vita di Brown, il film è innanzitutto un film di attori con un protagonista, il giovane Chadwick Boseman, perfetto in un ruolo difficile e complesso come quello del padrino del soul. E accanto a lui tanti altri: le già citate Davis e Spencer, Dan Aykroyd a interpretare lo storico manager di Brown e Nelsan Ellis, una piccola particina anche per lui in The Help e qui a raffigurare l'amico di una vita e il compagno di strada e di musica di Brown, Bobby Byrd. Nei 139 minuti del film, Taylor ricostruisce la vita di James Brown complicando forse in modo macchinoso la narrazione con troppi salti temporali avanti e indietro e nei diversi episodi si perde qualche pezzo per strada. Inevitabile, data la complessità della vicenda umana di un uomo che cambiò per sempre il modo di far musica, ma anche di stare sul palco e di rapportarsi con il pubblico. Così, se funziona e molto il rapporto stringente tra James e Bobby, l'unico della sua prima band, i Famous Flames, a voler rimanere con quel giovane talentuoso ma anche dispotico e intrattabile sul lavoro e l'unico anche a rimanergli accanto per tanta parte della sua carriera, altre cose funzionano meno, o perché saltate a pié pari come la dipendenza dalle droghe di James, almeno da un certo punto della sua carriera in poi o perché appena accennate. Scorre infatti veloce il film tra un passato burrascoso in cui il piccolo James, poverissimo, viene dapprima conteso tra madre e padre per poi essere abbandonato alle cure più o meno pietose della maîtresse di un bordello e il racconto della costruzione di un successo incredibile. Il ritratto che fa Taylor del James Brown superstar è, come prevedibile, a chiaroscuri: da un lato si sottolinea, anche attraverso il ricorso a immagini di repertorio e a tanti, splendidi momenti musicali, il carisma unico di un uomo di spettacolo che ha rivoluzionato il mondo della musica. Tanti momenti rimangono in testa assieme al sound di canzoni e pezzi senza tempo: il memorabile concerto del 24 ottobre 1962 all'Apollo Theatre di Harlem, New York, registrato dal vivo da Brown a sue spese perché la sua etichetta di allora, la King Records non credeva alla riuscita economica di un live; il concerto di Boston tenutosi l'indomani dell'uccisione di Martin Luther King, carico di tensioni e rischiosissimo per la carriera della star. D'altro canto Taylor, pur dovendo fare un'opportuna selezione, non dimentica i punti oscuri di Brown star e uomo: il suo attaccamento ai soldi, il rapporto conflittuale con i membri delle sue varie band verso cui ostentava una sicumera insopportabile e modi di gestione dispotici, il rapporto difficilissimo con una madre da cui si sentì sempre rifiutato e i tanti momenti di violenza domestica contro le sue donne e mogli. In particolare il film non nasconde le scenate di gelosia di Brown e i frequenti litigi con la terza moglie, Adrienne Lois Rodriguez. Allo stesso modo, Taylor non censura neppure i numerosissimi problemi tra Brown e la giustizia: ricorda il carcere sin troppo duro della gioventù e ricostruisce il ben noto inseguimento di cui fu protagonista il Nostro tra la Georgia e la Carolina del Sud. Certo, il film ha dei difetti: la sceneggiatura firmata da Jez e John-Henry Butterwood (Edge of Tomorrow) per cercare di snocciolare più aneddoti possibile della tumultuosa vita di James, si perde per strada un po' di personaggi: il manager che praticamente sparisce ad un tratto dalla narrazione, la sfera sentimentale, appena accennata e comunque penalizzata da troppe ellissi, il legame con i figli, inesistente. Tanti tagli per concentrarsi sull'affetto testardo e quasi miracoloso di Bobby per James: un amico che ci sarà sempre, comunque e dovunque anche quando le vite dei due artisti dovranno separarsi. Una roccia nelle acque tempestose del genio e della sregolatezza, nella violenza e nei capricci di James: uno che nella vita aveva sempre professato un egoismo crudele contro tutto e tutti forse per lasciarsi indietro i fantasmi del passato ma che, come ricorda il bel finale, imparò tra le lacrime la gratitudine per un'amicizia grande e duratura

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