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Non sposate le mie figlie!

Regia di Philippe de Chauveron vedi scheda film

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La recensione su Non sposate le mie figlie!

di FilmTv Rivista
6 stelle

Comédie potache quant’altre mai. Dal termine gergale “potache”, intraducibile in italiano, ma che fa riferimento al mondo goliardico studentesco. Il rimando è a un umorismo non greve, non volgare, appena pungente e tutto sommato innocuo. Il primo film potache della storia del cinema è il primo film (a soggetto) della storia del cinema: L’arroseur arrosé (L’innaffiatore innaffiato) dei fratelli Lumière, del 1895. Chiaro che da allora qualunque variazione sul tema venga accolta dai francesi con favore. I film più visti da sempre del cinema d’oltralpe (fa in parte eccezione Quasi amici) sono appunto potache: da In famiglia si spara a Le folli avventure di Rabbi Jacob a Giù al nord, fino a questo Non sposate le mie figlie! (in originale Qu’est-ce qu'on a fait au bon Dieu?) che in patria ha richiamato in sala ben 12.237.274 spettatori (per fare un confronto, Sole a catinelle, da noi, 8.022.000). Christian Clavier e Chantal Lauby, coppia di brillanti attori, interpretano marito e moglie francesissimi, lui gollista, lei parrocchiana devota, alle prese con tre figlie già legate rispettivamente a un ragazzo ebreo, uno cinese e un magrebino musulmano. Sperano nella quarta, la più giovane, che ama invece un nordafricano. Il matrimonio tra questi due è il lieto evento intorno al quale si coagulano famiglie eterogenee, perché anche per il padre dello sposo accettare una parentela francese non è facile come bere un bicchier d’acqua. Il film ha una sceneggiatura semplice, ben congegnata, forte dell’accumulo di stereotipi che quasi si annullano tra loro invece di risultare offensivi. Per dire: il marito ebreo chiama i due cognati Bruce Lee e Gheddafi, il cinese Woody Allen e Arafat, il magrebino Jackie Chan e Popeck. Di fronte al presepe sono tutti un po’ d’accordo che Gesù sia personaggio «sopravvalutato», ma fingono devozione per quieto vivere e per preservare le coronarie del povero suocero, uno che va a pescare commuovendosi se sente Douce France di Trenet (nella scena più bella del film: «Douce France... Cher pays de mon enfance...»). Alla fine trionferanno, come da copione, i buoni sentimenti, la tolleranza anche politica e le affinità di genere (la complicità virile dei consuoceri sfiderà qualunque diffidenza, anche con l’aiuto del vino...). Non sposate le mie figlie! diverte il giusto, a patto che non ci si aspetti chissà che. Del resto il limite, o forse il pregio, della commedia potache è proprio quello di essere sempre “nella media”.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 5 del 2015

Autore: Mauro Gervasini

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