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Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza

Regia di Roy Andersson vedi scheda film

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La recensione su Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza

di laulilla
9 stelle

Il titolo del film è ispirato al celebre dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, Cacciatori nella neve (1565), conservato a Vienna al Kunsthistorisches Museum: il piccione sul ramo è in alto, al centro della scena.

Il tema di questo film, Leone d’oro  a Venezia nel 2014, è l’insensatezza del nostro vivere, raccontata in 39 quadri,girati in piani-sequenza che volutamente conferiscono alle singole scene una grande staticità, quella stessa che connota l’intera pellicola.

Il regista, infatti,  porta sullo schermo lo svolgersi dell’umana commedia - o tragedia - che, osservata dall’esterno, gli appare sostanzialmente immutata nel tempo e nello spazio, peggiorata, plausibilmente, dalla possibilità che la tecnologia dei nostri giorni, isolandoci dal mondo reale, ci protegga dal dolore, soprattutto da quello che procuriamo agli altri, poiché è in grado di trasformare i pianti e i lamenti di coloro che soffrono per il nostro egoismo e per i nostri pregiudizi, in canti melodiosi e dolci suoni che tranquillizzano le coscienze.

 

Intrecciando, con perfetta naturalezza, episodi del presente, con altri che appartengono al passato storico della Svezia, egli non può che constatare il persistere della sopraffazione e della discriminazione nella vita quotidiana: nelle case, negli ospedali, nei laboratori scientifici, nei locali pubblici e persino nel grigiore delle deserte vie cittadine, i cui palazzi celano la vita che si svolge all’ interno grazie alle loro vetrate a specchio, la cui onnipresenza ossessiva sottolinea il narcisismo delirante che rende ciascuno incapace di comunicare davvero, di interessarsi empaticamente alle vicende dei suoi simili, persino a quelle dei parenti più cari, a cui ormai tutti si rivolgono con espressioni rituali e convenzionali di cortesia formale, che celano la più profonda indifferenza.

 

 

I trentanove episodi del film diventano, perciò, momenti di una grottesca rappresentazione dell’assurdità del vivere; i personaggi sono inconcludenti marionette meccaniche che recitano continuamente la parte che si sono attribuiti senza crederci: il loro volto infarinato nasconde la verità dei lineamenti e ne impedisce l’individuazione, di fatto resa impossibile dalla generale omologazione dei comportamenti e delle idee.

 

La narrazione assume, per tutto il film, il carattere surreale di certe pellicole buñueliane, per l’ironia implicita nell’assurdità delle vicende e degli incomprensibili divieti, ma soprattutto per l’effetto straniante che deriva dal contrasto profondo fra i tragici fatti raccontati e il contesto cinico e avido in cui avvengono.

Ciò è immediatamente visibile nei tre episodi che aprono il film, raggruppati col titolo Incontri con la morte, molto importanti sia perché ci danno la cifra stilistica di tutto il film, sia perché pongono da subito la questione fondamentale sottesa a tutti gli altri episodi: se, cioè, gli uomini siano stati o siano in grado di dare alla propria vita un senso: è significativo che le uniche scene a colori pieni del film siano quelle che ne rappresentano il senso possibile nell’amore e nella umana solidarietà.

 

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