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Il regno d'inverno - Winter Sleep

Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film

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La recensione su Il regno d'inverno - Winter Sleep

di Kurtisonic
8 stelle

Melisa Sözen

Winter Sleep (2014): Melisa Sözen

L'eterno dilemma del vivere sporcandosi le mani o del porsi ad una buona distanza di sicurezza da ciò che la vita manifesta è un tema che non andrà esaurito neanche con quello che si potrebbe definire la provocazione cinematografica di Ceylan, autore di un lavoro tanto interessante quanto anticinematografico. Capiterà a tanti lungo le tre ore e passa (affatto eccessive) di perdere magari qualche inquadratura, specialmente se impegnati con i sottotitoli, ma non di privarsi del piacere di un testo ricco, denso, e coinvolgente di cui occorre gustare ogni sfumatura al pari di una lingua originale inaspettatamente (per me) dolce e musicale. Winter sleep si può ricondurre al dramma da camera, vista la sua impostazione scenica mentre le rarissime inquadrature esterne magari saranno sfruttate per un ingannevole trailer. Il protagonista Aydin è di fronte alla sua vita, uguale alla pagina bianca su cui scrivere la storia del teatro turco, quando è all'aria aperta sbircia da lontano la sua casa per vederla da un'altra angolazione, senza riuscirci . L'uomo è un intellettuale, benestante, proprietario di un albergo in Anatolia in cui vive insieme alla giovane moglie e alla sarcastica sorella. Proprio la composizione "a stanze" dell'ambientazione scenica produrrà l'insieme morale dell'intera vicenda, favorendo un ingresso e un'uscita dalle stanze dell'anima  in cui soggiace qualcosa che fino a poco prima nessuno dei protagonisti vuole fare emergere. Vicino alla purezza della letteratura e della filosofia Winter sleep affascina senza tediare, le immagini rigorose ed essenziali svolgono una funzione liberatoria e purificatrice del testo, semplicemente lo rendono umano e tragico. Le poche inquadrature esterne si limitano al frammento folgorante, all'illuminazione mistica che le parole hanno acceso. Winter sleep mantiene in tutto il suo percorso una linea analitica che può apparire fredda e lontana, sia dal candore dei sentimenti che da una luce emotiva diretta perchè concentrato sull'evoluzione di un  personaggio chiuso come Aydin, sulla natura e sulla bontà dei suoi pensieri e dei suoi discorsi. Come si dice più volte nel film, "le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni" e Ceylan le distribuisce saggiamente fra i vari personaggi. La vicenda è innescata da un insignificante episodio di vita quotidiana, che mette in moto le contraddizioni interne dei personaggi, la loro mascherata tranquillità, il lento sciogliersi della solitudine di ognuno mentre affiora in un gioco di specchi un barlume di consapevolezza. Aydin principalmente sarà il vero personaggio trainante della possibilità o meno di una trasformazione di sè, è l'uomo che si è creato un'esistenza teorica nella quale ci starebbe benissimo, ben supportato dal denaro. L'aspetto economico e il suo corrispettivo sociale incide nei rapporti umani, sovrapponendosi a qualsiasi altra relazione, e il suo potere di modificare equilibri di per sè precari metterà in luce debolezze e verità.  La magìa di Ceylan è priva di compromessi e di trucchi estetici, sposta macigni enormi usando scartamenti minimi ma continui, mette a fuoco un vaso di pandora che i protagonisti credevano di poter controllare e che una volta scoperchiato rivela tutto ciò che contiene. Nonostante ciò, il regista in ultima analisi affida le chiavi del film allo spettatore, non ha la pretesa di insegnare la vita. Aydin è di fronte alla pagina bianca, forse inizierà a scrivere ma di certo vede quella pagina come fosse la prima volta.

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