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Il Natale della mamma imperfetta

Regia di Ivan Cotroneo vedi scheda film

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La recensione su Il Natale della mamma imperfetta

di shadgie
6 stelle

(sul film e sulla web-fiction "Una mamma imperfetta")

Il nome di Ivan Cotroneo, per la fiction e il cinema italiano, rimanda irrimediabilmente alla "locura". Cosa sarebbe? Ne parlavano quei geniacci di Boris, poco meno che ottima fiction italiana ideata nel 2007 ,terminata nel 2010 e sbarcata poi al cinema l'anno successivo, per definire quell'attitudine tipica di una certa "nuova onda " della sceneggiatura italiana, occupata a confezionare storie dall'apparato linguistico ed espressivo inusuale ma veicolanti contenuti tradizionali. Tralasciando quanto una certa dose di "follia" espressiva abbia condizionato anche l'evoluzione della stessa Boris, incastonatasi su se stessa e intenta nel rimirarsi nei suoi stessi feticci attoriali e di scrittura, possiamo affermare con certezza che Cotroneo è "la locura". La sua attitudine squisitamente queer sembra essere debitrice, più che al cinema o al musical di cui fa largo uso, alla serialità made in USA, soprattutto a quella fine '90-inizio 2000 e all'intrigo scoppiettante neo-pseudo-femminista di Sex and The city. Se però in Boris o altri prodotti l'esasperazione, l'uso/abuso del siparietto musicale e della macchietta scavavano i solchi in un immaginario desolato, coincidente con frazioni della realtà sconfortanti, nei prodotti di Cotroneo si tende alla conciliazione. Le madri lavoratrici stressate e tecnologiche conquistano per l'esaltazione dell'imperfezione ma anche per quel "comporre i contrasti" di veltroniana memoria, pur vivendo in un mondo che somiglia davvero a quello che possiamo osservare ogni giorno e che è , di fatto, un mondo opprimente, freneticamente non sense. Nella striscia Una mamma imperfetta la protagonista, in carriera, graziosa, mamma, trafelata, ma anche colta, ma anche saltuariamente meschina, ci fa sorridere su una realtà che affoga per la sua drammaticità inespressa. E più volte ci si chiede se sia ancora il caso di sorriderne, ma i minuti e gli episodi passano, l'uno dopo l'altro, trascinando quella scia amarognola sapientemente tenuta a bada dalla regia pirotecnica del suo autore. La prima parte del film traspone fedelmente lo stile della web series condensata in puntate di 8 minuti destrutturando con arguzia originale (per l'Italia,immagino) l'ossessione per le feste natalizie e per l'organizzazione delle stesse. che porta l'insofferenza per i pur amati figli e la chiusura "forzata" delle scuole. L'unico numero musicale al supermercato non disturba, inserendosi in una narrazione che si concede più volte divagazioni oniriche (la più ariosa e strutturata, nella fiction, era stata forse quella che inaugurava la seconda serie, con la protagonista intenta a godersi la vita in una "stanza tutta per sè", tra le pagine dell'omonimo saggio di Virginia Woolf). Ricompaiono le finte interviste, singolari o collettive (i quattro mariti, i bambini contrariati), con le quali la protagonista Chiara organizza i propri pensieri tentando di dar loro una seppur vaga forma "statistica", come da deformazione professionale. All'interno del racconto spiccano alcune figure, come l'amica di blog Patrizia, napoletana dal passato avventuroso ed evocatrice di una figura "mitologica" off screen, la mostruosa "piccola Karen"; l'amica di sempre Marta e il marito Davide, Questi ultimi, i cui caratteri sono in miglior modo sviscerati nella serie, sono due grosse occasioni mancate. La prima è una sorta di "madre degenere", ovvero una donna indifferente alle cure famigliari interpretata in maniera sensualmente svagata da Alessia Barela. Invece di offrirci, con Marta, un'alternativa realistica al modello imprigionante della donna multitasking, Cotroneo non si accontenta di farne una madre che, "colpita" dalla nascita di tre figli insieme, ha coscientemente optato per una vita il più  rilassante possibile, ma la rende un vero e proprio mostro, indifferente ai tre figli di nemmeno 7 anni e "schiavista" nei confronti del marito.  Davide è invece il marito di Chiara, così bonariamente e mitologicamente descritto (un essere metà uomo e metà divano) da non poter suscitare antipatie anche se, di fatto, dovrebbe farci arrabbiare. Totalmente appoggiato all'iperlavoro della moglie, si sente un eroe ogni volta che accompagna i figli a scuola o prende le ferie dal lavoro per stare con loro, e allo stesso modo si comporta nell'aiuto domestico,svolto in modo plateale. La sua poca connessione con la vita pratica lo avvicina a personaggi animati (uno su tutti: Papà Pig, che però aiuta di più in casa) più che a personaggi verosimili e recitati. 

Altri difetti del film, amplificati rispetto alla serie che riesce ad essere più approfondita, risiedono nell'adozione di figure imposte come "normali" e accettate dallo stesso mondo che incoraggia il perenne stress-stordimento femminile    ma che nel reale susciterebbero retrograde, ingiuste, aberranti ma scontate perplessità da parte delle masse (alle quali comunque questo ceto medio alto della Roma bene appartiene). Si tratta in particolare del babysitter gay - esperimento già tentato in Friends, 10 anni fa ma negli USA, e bocciato dal machismo di ritorno della coppia che doveva sceglierlo - e della coppia lesbica, ma anche di tutti i discorsi che i bambini fanno attorno a questi temi e ad altri: si oscilla tra un'inusitata proprietà di linguaggio, depurata dagli accenti e dalla "caciaroneria" tipica degli infanti e dei preadolescenti, e le immancabili frasi fatte da fiction italiana. Il tutto viene coronato da un finale fiabesco, musicalmente raffinato e autenticamente melenso, che interviene a smontare (giustamente?) il seppur minimo rovello sulla quotidianità, ottimamente espresso nella prima ora dalla recitazione nevrotica di Lucia Mascino.

 

Due stelle e mezzo reali, tre per incoraggiamento

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