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Le meraviglie

Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Le meraviglie

di ed wood
5 stelle

L’opera seconda della Rohrwacher mette tanta carne al fuoco senza però cuocere nulla a puntino. Sotto la scorza di un pauperismo estetico che affligge ancora svariate frange del cinema d’autore nostrano, si dispiega affannosamente un racconto che tenta invano di unire due diversi poli tematici: quello affettivo/emotivo (gli imbarazzi e le titubanze adolescenziali; il rapporto col padre-padrone) e quello politico/mediatico (le difficoltà del mondo agricolo a contatto con la modernità, rappresentata sia dalle imposizioni legali sia dalla televisione).

 

Questi due nuclei non dialogano mai fra di loro e restano quindi percorsi separati. Per di più, l’ispirazione latita su entrambi i fronti, alternando trovate interessanti ad altre goffe. La parte intima, privata del film, quella incentrata sulle due figlie maggiori, contiene l’intuizione poetica del raggio di sole che penetra da una tettoia, garbata metafora della loro condizione domestica, e offre un pre-finale quasi onirico, con l’incontro nella grotta e le ombre cinesi sulle pareti. Purtroppo però sconta una opaca definizione della figura materna, un’irrisolta focalizzazione fra le due sorelle, una lacunosa definizione del ragazzino ospite, che avrebbe dovuto invece rappresentare il vero punto di svolta del film. La figura del padre burbero, pur non priva di elementi di ambiguità, ricorda quella altrettanto prevedibile di un altro deludente film italiano recente che affronta l’adolescenza problematica, “Bellas Mariposas” di Mereu. Non basta evitare i peggiori luoghi comuni del giovanilismo per creare efficaci ritratti di infanzia ed adolescenza. Purtroppo tanto cinema italiano soffre sotto questo aspetto. Non si vedono all’orizzonte nuovi Erice e Truffaut, ma neanche il Da Campo di "Pagine Chiuse", per dire...

 

 

La parte sociologica del film è altrettanto altalenante. Si fatica a trovare un significato forte alla scelta del mix di idiomi (tedesco, francese, italiano) e la rappresentazione della realtà agricola è approssimativa e inattendibile. Ancora più rozza è la resa dell’universo televisivo (un pallino della Rohrwacher, anche nel precedente film “Corpo celeste”), che si risolve in un kitsch spinto, dove la famiglia viene implicitamente umiliata dai tempi televisivi e dal modo in cui la TV tende a banalizzare anche i concetti più profondi. La Bellucci, inoltre, fatina dalle lunghe trecce bianche, poteva anche starsene a casa. C’è però almeno un momento brillante in questo frangente ed è la sequenza della tempesta, in cui la famiglia sistema i coperchi dei contenitori del miele e poi si ripara sopra di essi sotto un telo: una bella metafora per significare la resistenza di questa gente alla pressione imposta dalla modernità.

 

In questo film senza una direzione, con troppe idee ma tutte confuse, si finisce per restare aggrappati ad alcune trovate estemporanee, che si spera vivano di luce propria. In certi casi il miracolo riesce (lo spettacolino col fischio e Gelsomina che si fa attraversare il viso da un'ape, metafora quasi psicanalitica del superamento di paure ed impacci), in altri si cade rovinosamente in un simbolismo inerte (il cammello attaccato alla giostra!). Poca roba.

 

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