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Le meraviglie

Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film

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La recensione su Le meraviglie

di nickoftime
8 stelle

Non è un caso se in tempi di ristrettezza il cinema italiano si rivolga a registi provenienti dal documentario, abituati per necessità a confrontarsi con una messinscena in cui le idee contano più della pecunia. Ritrovare al festival di Cannes, per giunta in concorso, l’ultimo film di Alice Rohrwacher, è quindi un premio all’abilità del singolo, ma anche il riconoscimento alla bontà del percorso intrapreso da un intero movimento. Una strada che la Rohrwacher percorrere in direzione dei grandi maestri del neorealismo italiano, ma non solo. Perchè la storia di Gelsomina e della sua famiglia, è certamente il ritratto dell’eroismo quotidiano di un gruppo di persone impegnate a sopravvivere in un mondo che non fa sconti a nessuno, come accadeva nei capolavori di Vittorio De Sica e Roberto Rossellini. Sempre a quei modelli possono essere accostate le scelte di rappresentare l’esistenza umana senza alcun artificio, il naturalismo della recitazione, per non dire dell’opzione pauperistica derivata dal protagonismo di personaggi socialmente deboli, come lo sono quelli creati dalla fantasia della regista.

 

Ma la diversità del film della Rohrwarcher e nel contempo il suo pregio, è la formulazione di uno sguardo primigenio che si posa su cose e persone come fosse  prima volta. La meraviglia a cui il titolo allude, è dunque lo stato d’animo e la reazione di una bambina che cerca di rimanere tale, nonostante le responsabilità che i genitori le assegnano. Sono lo stupore e il rapimento che la colgono all’irruzione di un universo altro, temuto e insieme desiderato, e rappresentato dalla fascinazione per la star della tv interpretata da Monica Bellucci, fasciata nel candore virginale e kitsch del suo costume di scena. Ma è anche l’attitudine dell’occhio filmico, capace di rendere l’incantesimo di una natura primordiale e arcaica con un realismo a maglie larghe, pronto a dilatarsi in una contemplazione che si carica di simboli e allusioni; come lo è la circolarità delle scene che aprono e chiudono il lungometraggio, legate all’atto del dormire, e quindi alla materia onirica di cui il film è impregnato. E come dimostra in maniera eloquente l’ultimo fotogramma, con la casa paterna improvvisamente spoglia e disabitata, a istillare il dubbio che nulla di quanto abbiamo visto sia realmente accaduto, e ancora prima, l’incontro tra Gelsomina e il suo giovane amico, rubato della sua concretezza e consegnato alla magia di un sogno a occhi aperti.

 

Una sospensione che trova corrispondenza visiva nel contrasto tra il cielo che incornicia gli scenari campestri, e la terra, di cui “Le meraviglie” è contaminato attraverso i personaggi, visceralmente (la sacralità con cui il padre di Gelsomina concepisce l’allevamento delle api) ed in modo pittoresco (il talamo matrimoniale collocato in mezzo al campo, e trasformato in altana per scoraggiare l’attività dei cacciatori) compenetrati con l’humus geografico che li circonda. Non tutto funziona, perchè ogni tanto il film rimane ipnotizzato dal suo stesso sguardo, e l’estesa lunghezza del minutaggio, necessaria a costruire il ritmo interno della storia, non sempre si sposa con il minimalismo dell’intreccio narrativo. Ciò non toglie che,  avvicinato senza pregiudizi e con il cuore aperto, “Le meraviglie” sia in grado di offrire allo spettatore una poesia umana di rara bellezza.

(pubblicata su dreamingcinema.it)

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