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The Reach - Caccia all'uomo

Regia di Jean-Baptiste Léonetti vedi scheda film

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La recensione su The Reach - Caccia all'uomo

di mc 5
5 stelle

Curioso quando accade una sorta di identificazione tra ciò che vedi sullo schermo e la condizione psicofisica dello spettatore. Alludo paradossalmente allo scenario che domina per tutto il film (un assolatissimo e ribollente deserto del New Mexico) e l'afa terribile che sta affliggendo le nostre giornate proprio in queste ore. Anche qui, al mio paese, insomma, sembra di stare nel New Mexico. E dopo questa specie di facezia, veniamo ad un film che la critica quasi unanime ha trattato assai male. Io sarei piuttosto incerto nell'esprimere un giudizio, perchè la pellicola possiede sviluppi che mi hanno affascinato anche se poi declina inesorabilmente al negativo. Di valido c'è innanzitutto il vero protagonista, quel deserto torrido che si estende all'infinito con quel paesaggio immobile che è una prigione di calore e di malessere senza scampo. Insomma uno sfondo ideale per esprimere sofferenza o per mettere in scena una fuga disperata. Quel sole a picco sembra di viverlo davvero in sala consegnando allo spettatore una sensazione di malessere che (cinematograficamente parlando) è dotata di grande fascino ed efficacia. Poi scatta questo meccanismo intrigante del gatto che caccia il topolino, già visto mille volte ma che qui -sullo sfondo appena citato- coinvolge davvero il pubblico. Abbiamo questo ragazzo che è una delle guide più esperte sulla piazza e viene pagato da un riccastro affarista (ovviamente Douglas) per accompagnarlo in una avventura nel deserto a caccia di animali (in particolare il bighorn, che ho poi cercato in rete e ho trovato descritto come "pecora delle montagne rocciose"). La spedizione parte male, con un omicidio accidentale di cui non fornirò dettagli ma che influenzerà in negativo tutto il meccanismo della vicenda. Fatto sta che il riccone e la giovane guida si troveranno al centro di un inseguimento angosciante ed estremo. che dura praticamente per tutto il film. Oltre a un siparietto "amoroso" tra il ragazzo e la sua fidanzata che segnerà sia l'inizio che la fine del film. Detta così pare una storia intrigante. Ma c'è un problema, anzi due. Prima di tutto una storia che racchiude parecchi dettagli inverosimili evidenziati da una sceneggiatura molto discutibile. E poi un Michael Douglas troppo teso a gigioneggiare (o se preferite: ad istrioneggiare). E' incontenibile nel suo esprimere una natura malvagia a tratti anche mefistofelica. Al punto che la sua minacciosa cattiveria rischia di farne una macchietta del Male personificato. E facendo dunque perdere diversi punti ad un film che di per sè non sarebbe affatto male. Diciamo dunque che condivido buona parte delle critiche che hanno accolto l'opera ma forse non sarei così negativo perchè il film qualche momento felice ce l'ha. Per esempio quando Douglas adagiato comodamente su una poltrona da un'altura osserva sadicamente (mentre sorseggia un drink) il ragazzo che arranca distrutto sotto il sole, peraltro accompagnando la scena con un felicissimo commento sonoro di musica classica. Però va anche detto che prolungare per un'ora e mezza questo inseguimento sortisce inevitabilmente qualche momento di noia. Ma dove casca l'asino è nel finale. Un finale che affossa tutta la baracca. Ero fortemente tentato dal raccontarlo ma ovviamente non lo farò. Diciamo solo che si tratta di un triplo finale, il cui sovrapporsi è esagerato e inopportuno, in particolare trovo fuori luogo la scelta di risolvere il tutto con un colpo di scena da horror anni 80 che fa ridere i polli. Michael Douglas (che ho adorato nel suo ruolo magnifico di Liberace in "Dietro i candelabri" che lo vide in pista per l'Oscar) qua mette in scena una caricatura di malvagio che sconfina nel ridicolo. Il suo antagonista, il giovane Jeremy Irvine è invece perfetto nel ruolo di questo ragazzo sfortunato cui il destino riserva prove estreme. Poi aggiungiamo la sua fidanzatina Hanna Mangan, carinissima e molto intensa. E infine uno dei vecchi volti più noti di Hollywood, il veterano Ronny Cox, qui nel panni di un ambiguo sceriffo. Un film che perde quota proprio grazie al suo più grosso richiamo presso il pubblico, un Douglas a tratti svogliato che si esprime per stereotipi senza mai impegnarsi sul serio. In definitiva: non un film da buttare ma sicuramente per apprezzarlo bisogna sapersi accontentare. 

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