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L'assassinio di Sister George

Regia di Robert Aldrich vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'assassinio di Sister George

di rocky85
8 stelle

“Hanno deciso di ammazzarmi! Vogliono spremermi fino all’ultima goccia per poi assassinarmi!”

L’assassinio in questione è metaforico, ma non per questo meno spietato. I vertici della BBC hanno infatti deciso di eliminare il personaggio di Sister George, protagonista molto familiare di una serie televisiva di successo. Motivazione: la condotta pubblica scandalosa e le preferenze sessuali della sua interprete, June Buckridge (Beryl Reid), donna di mezza età dedita all’alcool che convive insieme alla giovane compagna Alice (Susannah York). June intuisce da subito l’intento dei dirigenti televisivi, ma le sue reazioni non fanno altro che peggiorare la situazione, finendo col deteriorare del tutto i rapporti di lavoro e anche affettivi.

L’enorme e inaspettato successo di Quella sporca dozzina dà a Robert Aldrich la possibilità di ritrovare una autonomia produttiva e di rimettere in piedi la “Associates and Aldrich Company Production”. L’occasione è troppo succulenta per il regista, che gira nell'arco dello stesso anno ben due film, L’assassinio di Sister George e Quando muore una stella, opere molto particolari ma soprattutto tra le più personali nella sua filmografia. Entrambi film che criticano spietatamente le logiche del mondo dello spettacolo, entrambi destinati all’insuccesso.

L’assassinio di Sister George, ambientato in una Londra plumbea ed incentrato sulle dinamiche del mondo della televisione, è un melodramma intinto di toni cupi e morbosi, furente e coraggioso nella sua eccessiva carica pessimistica. La sua visione del mondo omosessuale femminile, molto criticata, può destare qualche perplessità ma è innegabile la volontà di Aldrich di evitare qualsiasi edulcorazione. Come in Che fine ha fatto Baby Jane?, il rapporto tra June e Alice è basato sulla dipendenza e sull’idea di possessione. June sfoga i suoi isterismi, le sue paranoie e le sue gelosie sulla giovane amante Alice, bambina poco cresciuto in un corpo di splendida trentenne, soprannominata “Childie” per il suo carattere remissivo e fanciullesco, che diventa sua succube in un gioco malsano e sadomasochistico. A peggiorare la situazione e a far deflagrare i rapporti, è l’ingresso del personaggio di Mercy Croft (Coral Browne), ispettrice della BBC che cela dietro una apparenza austera la sua omosessualità repressa.

Le tre interpreti femminili sono strepitose, ma Beryl Reid regala una prova da applauso ed un personaggio che, pur nelle sue piccole mostruosità, entra a pieno diritto nella schiera delle eroine aldrichiane. La sua June, al contrario del personaggio rassicurante di Sister George che interpreta nella fiction, è una donna sgradevole, patetica, prepotente e rancorosa. Ma sembra l’unica a conservare un barlume di umanità in un mondo che non ne ha. “Mi serve un posto dove piangere!” è la sua disperata e commovente richiesta di aiuto. Ma, come spesso nel cinema di Aldrich, anche lei è destinata in un modo o nell’altro a soccombere, in un finale fulmineo e di agghiacciante crudeltà, con un urlo che resta schiacciato in gola e impresso nel cuore. L'assassinio è stato compiuto.

 

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