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La signora della porta accanto

Regia di François Truffaut vedi scheda film

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La recensione su La signora della porta accanto

di pippus
9 stelle

“All’inizio ogni passione è debole, poi si eccita da sé e, strada facendo, acquista forza: è più facile non lasciarla entrare che cacciarla via. (…) Opponiamo dunque resistenza alle passioni che cercano di entrare in noi, perché, come ho detto, non accoglierle è più facile che scacciarle. “  Seneca,  dalla Lettera 116 a Lucilio.

 

In questo consiglio di Seneca all’amico è riassunto il problema, questo è il fulcro attorno al quale brillano le due “stelle “ Bernard e Matilde, come un sistema binario attorno al quale gli altri personaggi, come semplici pianeti, percorrono un moto di rivoluzione brillando però di luce riflessa.

Come, seppur con una serie di distinguo, Goethe espone e analizza analoghe tematiche in “Le Affinità Elettive”, Truffaut tocca un tasto delicato e sempre attuale, ovvero quell’amour fou che André Breton identifica con la frase “ Due individui che procedono fianco a fianco costituiscono un’unica macchina a influenza innescata”, l’incanto dell’incontro e del trasporto amoroso ha a che fare con l’ignoto; questo è il pensiero dello scrittore surrealista, e la regia evidenzia con rara efficacia quale grado di follia sia potenzialmente alla portata di qualsivoglia individuo, anche il più razionale.

Se per Spike Jonze, nel suo film “Her” - dove Joaquin Phoenix si innamora di un’intelligenza artificiale dalla suadente voce femminile -, l’amore è una follia socialmente accettabile, da più fonti di psicologia (e psichiatria) possiamo constatare quanto l’innamoramento ricordi, per alcuni aspetti, la malattia mentale. E Truffaut, con la sua arte e la sua invidiabile sensibilità e capacità di immedesimarsi nella situazione, rende partecipi di tale follia noi spettatori, sia che ci si annoveri tra i ristabiliti oppure attuali degenti oppure, ancora, tra i potenzialmente tali nei giorni a venire.

Per questo suo penultimo film - forse il migliore - intelligentemente Truffaut sceglie, come location per la vicenda, non due anonimi appartamenti di una caotica città, ma due casette ai margini di un tranquillo e ameno villaggio alle porte di Grenoble, in modo da infondere nello spettatore quello stato di rilassatezza che maggiormente contrasterà con la tragicità dell’epilogo.

Stessa cosa con la voce fuori campo della signora Jouve che, grazie ai mai eccessivi o invadenti flashback, espone la cronologia degli avvenimenti pregressi, e la sua figura è studiata in modo ottimale allo scopo di infondere quello stato di fiducia e di empatia che ordinariamente caratterizzano tali personaggi. Non casualmente all’interno del rassicurante circolo di tennis da lei gestito sono girate buona parte delle sequenze, e qui lo stesso Bernard, la sera della “bugia telefonica”, ha modo di entrare maggiormente in sintonia con lei quando, grazie a reciproche confidenze, viene a conoscenza della vicenda all’origine della sua zoppia.

La sceneggiatura ci propone inizialmente un Bernard oltremodo realistico, buon ingegnere navale con moglie e figlioletto nel tranquillo contesto della loro casetta di campagna, e anche Matilde, ormai sedimentati i giovanili turbamenti con Bernard, è una bella signora da poco sposata con l’affidabile e maturo marito controllore di volo. Entrambi sono consapevoli di quanto sia inopportuno un loro riavvicinamento ma…la potenza dell’inconscio in simili situazioni è tremendamente dirompente, e i timidi tentativi iniziali di opporsi vengono prepotentemente travolti dalla progressiva rinata passione.

Attraverso le azioni dei protagonisti non abbiamo difficoltà nel comprendere quanto i neurotrasmettitori siano in grado, grazie a poche reazioni biochimiche, di obnubilare le più elementari norme comportamentali inducendo Matilde, ma ancor di più Bernard, a compiere ciò che poche settimane prima non avrebbero mai pensato di poter concepire.

Progressivamente assistiamo a una escalation di disturbi ossessivi/compulsivi che sfoceranno in veri atteggiamenti bipolari con stati di eccitazione alternati a depressione, perdita di concentrazione, insonnia e quindi dipendenza dall’altro/a con vere e proprie crisi di astinenza, causa primaria dei notevoli “rischi” che i due “degenti” sono disposti a correre pur di gratificare le loro irresistibili pulsioni. Repentinamente la situazione è totalmente fuori controllo, e Bernard, preda delle sue ormai patologiche sinapsi, propone senza remore una topica fuga da tutto l’entourage, compresi moglie e figlio.

Matilde resiste e sembra beneficiare di qualche intervallo di sobrietà ma, dopo la pubblica sceneggiata di Bernard (che a tutti ha reso palese la situazione), crolla e viene ricoverata in clinica. Le realtà quotidiane di Bernard e Matilde parrebbero completamente decontestualizzate non solo rispetto a tutto ciò che li circonda ma, altresì, a tutto ciò che fino a poche settimane prima era il loro status quotidiano. Ormai la situazione è irreversibile e non rimane che pervenire all’esiziale “né con te né senza di te”, con il magistrale epilogo con il quale aveva avuto inizio il racconto della signora Jouve.

La stessa figura di quest’ultima conforta la tesi di quanto possa mutare la nostra psiche sotto questa incontrollabile e inconscia forza interiore; anche lei fu vittima della “follia d’amore” nonostante la sicurezza e la determinazione che la contraddistinguevano e che ora le hanno permesso di prendere la non facile decisione di “fuggire” a Parigi, pur di evitare l’incontro con colui che era stato la causa del suo ” amour fou” del quale ancor oggi porta i postumi.

 

Truffaut ha saputo trasfondere al pubblico, con l’aiuto di Suzanne Schiffmann e Jean Aurel, il tormentato malessere vissuto dai protagonisti, rendendoci partecipi nel metabolizzarne il dolore fino a comprenderne il tremendo disagio interiore, premonitore della tragedia finale.

A distanza di quasi trentacinque anni dall’uscita parrebbero più evidenti poche e modeste “forzature” della sceneggiatura che potrebbero, a loro volta, rendere alcune sequenze non troppo probabili (in primis la micidiale, quasi masochistica, sceneggiata di Bernard durante la festa in giardino, nonché l’atteggiamento dei rispettivi coniugi, in particolare della moglie di Bernard, poco realisticamente comprensivo e benevolo nei confronti dell’amante del marito), ma che a mio parere non inficiano la pregnanza della pellicola, anzi, favoriscono nello spettatore l’associazione con altre situazioni presenti nella letteratura mitologica (Orfeo ed Euridice, Amore e Psiche) oppure più recenti, come Tristano e Isotta o Romeo e Giulietta, fino ai realmente esistiti Abelardo ed Eloisa che, seppur optando per il convento anziché per il suicidio, con la loro incredibile vicenda confermano appieno la formidabile energia nascosta nelle odissee affettive legate inscindibilmente al concetto di Eros e Thanatos di freudiana memoria.

 

Concludo con una nota positiva per le musiche di Georges Delerue, per l’ottima fotografia di William Lubtchansky e ovviamente per le eccellenti performance di Gerard Depardieu, dell’ affascinante Fanny Ardant e dell’intero cast.

Unica marginale nota negativa riguarda la versione italiana ottenuta da doppiatori iscritti all’ “ A.A.C.” ( che non significa Associazione Arbitri Calcio, bensì Associazione Abolizione  Congiuntivi:-).

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