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Smetto quando voglio

Regia di Sydney Sibilia vedi scheda film

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La recensione su Smetto quando voglio

di OGM
8 stelle

La commedia all’italiana si adegua ai tempi. Non è più figlia del neorealismo del dopoguerra, né dell’euforia snob e un po’ goliardica degli anni del benessere. Una volta, in mezzo allo sfacelo generale, scattava la solidarietà che spingeva a stare uniti per poter resistere. Poi, nell’era della spensieratezza, la compagnia serviva per divertirsi e lasciarsi alle spalle un mondo troppo sicuro e noioso. Adesso, invece, non c’è gruppo, piccolo o grande che sia, che riesca a restare immune dal dilagante caos, un triste nonsense che produce solo disperazione. Questo tetro rimescolamento delle idee ha perso ormai anche la forza provocatoria della demenzialità, o quella trasgressiva della frivolezza, per consegnarsi all’inutilità tout court. Del delirio scanzonato e creativo di un tempo è rimasta solo una traccia inconsistente, uno sbuffo di luce psichedelica, una timida fluorescenza che sogna di essere ancora un fuoco d’artificio. L’ironia della caricatura, per sparare i suoi colori, è ora costretta a mirare in basso. Come i ricercatori precari senza futuro, bravi ma non più giovanissimi, produttivi ma sottopagati. Il trentasettenne  Pietro Zinni, specializzato in neuroscienze, ha in cantiere un progetto formidabile. E ciononostante il suo contratto con l’università non viene rinnovato. Non è l’unico della sua categoria a finire in mezzo ad una strada. L’attuale società italiana non ha bisogno di intellettuali, che siano latinisti o farmacologi, ingegneri od archeologi. Le campagne mediatiche secondo cui la laurea non serve si ripercuotono negativamente sulle figure dei laureati, che finiscono, paradossalmente, per essere svalutati proprio in quanto possessori di un titolo considerato superfluo. Il film di Sydney Sibilia racconta la loro vendetta: un piano criminale ma non troppo, realizzato da un’improvvisata banda di mancati professori, si inserisce nella scia della mentalità vigente, sprezzante della cultura, per sfruttarne, a proprio vantaggio, le diffuse debolezze. Prima fra tutte, la passione giovanile per le droghe da discoteca, il sintomo più evidente ed allarmante di un’umanità votata all’assenza di pensiero. Di fronte al dilagante sfascio, i suoi avversari morali preferiscono rinunciare a combatterlo, e scelgono invece di assecondarlo, per dominarlo non certo in termini ideologici, ma, in maniera ben più bieca, sul piano esclusivamente pecuniario. In un mondo messo a soqquadro dalla cacciata della ragione, l’antitesi della lucidità si mette a fare follie, pur di poter sopravvivere. Si conforma alla massa, eppure se ne distingue, essendo una follia di gran lunga più furba e sofisticata. L’intreccio di questo action movie da strapazzo è fatto di raffinate invenzioni, con le quali una sgangherata rappresentanza dell’élite  della conoscenza  dimostra la propria arguta adattabilità alle condizioni più avverse. La sfida – non più squisitamente accademica, ma drammaticamente concreta -  che i sette protagonisti decidono di raccogliere, riguarda la capacità di navigare nei guai uscendone puliti e vincenti. La loro gimcana attraverso il mondo dei locali notturni e degli spacciatori segue un ritmo avvincente e serrato, mantenendosi, in ogni situazione, perfettamente in equilibrio sul crinale che separa l’autentico valore di fondo dei personaggi con il finto squallore della superficie. I due livelli spesso si mescolano, per necessità o distrazione, ma senza mai far venire meno quella naturalezza che sgorga dall’onestà, e che induce ad affrontare il male con sensibilità ed intelligenza, compensando il disagio con lo spirito del gioco. Ottime le prove di interpreti e regia, in questo naufragio tragicomico, nel quale il paradosso appare come l’ultima, affollatissima zattera di salvataggio.  

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