Regia di Christopher Landon vedi scheda film
Può sembrare incredibile, ma i precedenti capitoli di Paranormal Activity presentavano diversi motivi d’interesse. Prima di tutto legavano la comparsa dei demoni alla presenza dei sistemi di ripresa, come a fare da monito moralistico alla produzione continua di immagini non necessitate, punendo l’ottuso bisogno di reality con l’affiorare del perturbante. Le case infestate, poi, dialogavano con quelle di altri film horror, soprattutto sotto il marchio Blumhouse, come a mettere in scena ansie e paure contemporanee da mutuo subprime. E l’espediente per creare tensione, con quelle camere fisse in cui aleggiavano le oscure presenze, era decisamente efficace, come una versione terribile di Dov’è Wally? e un realismo macabro secondo Bazin 2.0. Il segnato, primo spin-off ufficiale del franchise, comincia a oscurare ogni vaga luce pregressa con la sua sagacia di marketing: l’acutissima idea di base del progetto è quella di segmentare il target di Paranormal Activity scegliendo personaggi latinoamericani. E di declinare poi il motivo della possessione come demonio dell’adolescenza: il protagonista (l’uguaglianza è: orfano = ragazzo difficile) acquisisce superpoteri che sono i correlativi oggettivi di esuberanza e apatia da età inquieta. Non c’è nient’altro. Tabula rasa. Solo la versione horror e demente di Chronicle. Ma - wow - con stereotipi di latinoamericani. Sul finale, il film forza lo spazio/tempo e il limite del ridicolo, trovando il contatto con i capitoli precedenti. Un signore, sconfortato, all’uscita del cinema l’ha definito: «Pattume». Con ragione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta