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Una nuova amica

Regia di François Ozon vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Una nuova amica

di ed wood
7 stelle

Si scrive Ozon, ma si legge Almodovar. Lascia un po' freddini l'ultima fatica del prolifico e proteiforme Ozon, uno dei massimi autori del cinema francese dell'ultima decade. La storia è perversa fino all'inverosimile, da far impallidire non solo l'Hitchcock di Vertigo (modello imprescindibile, qui sviscerato specialmente nelle componenti di feticismo e necrofilia) ma anche le prove più mature del sopra citato maestro castigliano. Ozon, come già in altre occasioni, adotta uno stile caricato, quasi una parodia dei film hollywoodiani (soundtrack invadente, fotografia patinata, interpreti dalla faccia pulita, dialoghi "in grassetto"), con l'intento, fin troppo esplicito, di creare quello straniamento formale necessario a porre in risalto la stravaganza dei contenuti. Così facendo però Ozon non si sottrae al rischio di comporre una sorta di film-messaggio, in questo caso una specie di "manifesto transgender". 

 
Come altri film di Ozon, "Una nuova amica" è un'opera di rime interne, ritorni ciclici, personaggi e sequenze che si specchiano e si echeggiano fra di loro. Più che di complessità, si potrebbe parlare di molteplicità: "Una nuova amica" è tanti film in uno, a seconda della prospettiva. Il problema però è che, in questo caso, Ozon è meno lucido e brillante del solito nello sbrogliare la matassa, come se fosse egli stesso impantanato nella confusione sessuale/sentimentale/morale che coinvolge i personaggi. Inoltre, si nota qualche goffaggine di troppo nella sua consueta commistione dei toni, dall'umoristico al tragico e viceversa, e forse anche l'innesto di un paio di momenti "musical" in una trama fondamentalmente melò pare un po' forzato. Se a questo si aggiunge un Romain Duris fuori parte e, in generale, un cast meno azzeccato del solito, ecco che abbiamo tutto i sacri crismi del film "minore".
 
Fra i tanti vicoli ciechi in cui si va a cacciare Ozon in questo bizzarro role playing che fatica a padroneggiare, ci sono la questione della paternità, quella dell'omofobia, quella dello stereotipo sessuale (David/Virginia resta etero, nonostante la mania del travestitismo; peccato però che quando indossa abiti femminili, si trasformi una sorta di parodia della donnona borghese infottata di shopping! come se il desiderio di vestirsi da donna facesse immediatamente scattare un comportamento femminile dei più stereotipati! mah...). In tanto caos, comunque mai noioso nè sciatto, emerge tuttavia una strada maestra, ossia: protagonista del film non è il travestito, ma Claire. E' lei che ha un lutto da elaborare; è lei che cerca una nuova amica; è lei che proietta in David/Virginia il suo desiderio di avere la defunta Lèa ancora al suo fianco. Di più: quella "malata" non è certo Virginia, ma è proprio Claire, con il suo egoismo, il suo attaccamento morboso all'immagine della bionda Lèa (grottescamente riflessa nella parrucca di Virginia), immagine sconfessata al momento del contatto sessuale col corpo e con i suoi connotati (ovviamente Virginia è ancora anatomicamente un maschio).
 
Insomma, in questo balletto di pulsioni contrastanti, di psicologie contraddittorie, di passaggi confusi alternati ad altri fin troppo sottolineati, dove eros, morte ed amicizia si scontrano in un "triello" senza vincitori nè vinti, non vengono a mancare comunque i momenti di finezza registica. Ad esempio, fate caso al finale: passano 7 anni, la figlia di Virginia è cresciuta, la madre va a prenderla a scuola assieme ad una gravida Claire. Si pongono dei dubbi sulla natura del rapporto fra Claire e Virginia (sono ancora amiche o qualcosa di più?) e su chi sia il padre della nascitura, ma un indizio fondamentale lo danno i comportamenti di Claire e della figlia di Virginia: guardate bene chi allunga la mano verso l'altra e capirete come stanno le cose.
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