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Babadook

Regia di Jennifer Kent vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Babadook

di Sandy22
10 stelle

Spesso i film di genere sanno raccontare in modo profondo la nostra società e soprattutto il nostro animo umano in tutte le sue sfaccettature, anche quelle più complesse e inquietanti. Questo è quello che fanno i grandi film di genere e in particolare l'horror che, grazie a un ampio ventaglio di possibilità (soprannaturale, fantasmi, possessioni, zombie, mostri, vampiri), riesce a penetrare all'interno delle pieghe più nascoste della nostra psiche per raccontare qualcosa di vero. Perché se un mostro può essere frutto di immaginazione, la paura invece è reale, così come sono reali il dolore e la morte. 

 

Questa piccola premessa è utile per inquadrare Babadook, uno degli horror più belli degli ultimi anni, proprio perché racconta qualcosa di estremamente reale e tragicamente doloroso. 

Amelia ha perso suo marito in un incidente, avvenuto mentre i due si recavano all'ospedale per far nascere il loro figlio Samuel. Amelia vive da sola con Samuel e non riesce ad accettare la morte del marito: non ne parla mai, tiene le sue cose chiuse in uno scantinato, non permette a suo figlio di festeggiare il compleanno nel giorno giusto. Soprattutto Amelia ha forti difficoltà ad affezionarsi a Samuel, bambino piuttosto vivace e costantemente alla ricerca di attenzioni da parte della madre. Una sera, a casa dei due, compare un bizzarro libro pop-up chiamato Mister Babadook che contiene disegni inquietanti e la storia di un mostro con le dita lunghe e un cappello a cilindro che perseguita un bambino. Samuel si fa influenzare a tal punto da Babadook che inizia a vederlo davvero, ma quando racconta tutto alla madre, lei non gli crede. Ma con il passare dei giorni, Babadook diventa sempre più forte e anche Amelia dovrà fare i conti con il mostro e soprattutto con sé stessa. 

 

La regista australiana Jennifer Kent, partendo da un suo cortometraggio (Monster), esordisce con questo Babadook e dimostra una grande abilità nella sceneggiatura e soprattutto nella messa in scena. Il film è girato per la maggior parte all'interno della casa (scricchiolante e cupa) dei due protagonisti e la Kent si rifà al cinema espressionista per creare un'atmosfera di paura e tensione sempre crescente: le stanze sono in semioscurità e le ombre si allungano e si deformano (Nosferatu docet). Il mostro, che ha le sembianze di un grosso scarafaggio con un cappotto, un cappello a cilindro e delle dita affilate come coltelli, non si vede troppo spesso, si muove negli angoli bui della casa e ripete la sua inquietante filastrocca (Baba-ba dook dook dook). Finalmente non ci sono jump scares e non se ne sente proprio il bisogno: il mostro, la sua presenza e gli effetti che esso provoca sui personaggi sono sufficienti a creare la giusta dose di paura. La regia è quindi molto lineare e in un certo senso classica, più vicina agli horror gotici alla Mario Bava (non è un caso che in una scena si veda Amelia che guarda in televisione I tre volti della paura di Bava) piuttosto che ai moderni film dell'orrore, dove c'è molto gore e abbondano i jump scares (e spesso è presente l'ormai inflazionatissimo espediente del found footage). 

 

Anche la fotografia contribuisce a costruire un'ambientazione, quella domestica, inquietante e cupa: i colori sono desaturati, tristi, finché non riprendono vitalità nella scena finale, quando Amelia riesce finalmente a sconfiggere (o meglio, a tenere a bada) il mostro. Inoltre, sono molto convincenti i due attori protagonisti: bravo il piccolo Noah Wieseman che interpreta Samuel, eccezionale Essie Davis nei panni Amelia, personaggio estremamente complesso che esplode nella parte finale del film.

Ed è proprio il finale su cui vorrei soffermarmi. Una conclusione non banale e anzi piena di senso, che riempie di significato tutto il film: Amelia, posseduta da Babadook e in preda a una pazzia che la porta a voler uccidere Samuel, riesce a fare uscire il mostro da dentro di lei e affrontarlo faccia a faccia, fino a rinchiuderlo nello scantinato. Nell'ultima scena vediamo che Babadook non è morto, ma semplicemente se ne sta rintanato nella sua stanza, dove Amelia si reca di tanto in tanto per nutrirlo con dei vermi. Fuor di metafora, Amelia ha trovato finalmente il coraggio di affrontare a viso aperto il cordoglio e il rancore che provava, sentimenti repressi a tal punto da dare vita a un mostro in carne e ossa che stava prendendo il controllo su di lei. Babadook, che rappresenta il dolore insopportabile di Amelia, non può sparire, non può essere cancellato, ma può solo essere fronteggiato e tenuto a bada e può essere alimentato dall'amore, quello che Amelia riscopre nei confronti di suo figlio. 

 

Babadook è una bellissima metafora in chiave horror che racconta la difficoltà di affrontare il lutto e che insegna una grande verità: i mostri esistono e sono dentro di noi; non si possono uccidere, ma si possono combattere ogni giorno fino a imparare a convivere con essi.

 

scena

Babadook (2013): scena

 

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