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Babadook

Regia di Jennifer Kent vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Babadook

di JuanMexico
8 stelle

Un film di genere con una messa in scena fantastica che grazie alle meravigliose citazioni e a una sottotrama intelligente spicca il volo unendo intrattenimento e autorialità. Voto 8

Il primo lungometraggio della regista australiana Jennifer Kent si colloca in quella ristretta cerchia di grandi esordi in cui risiedono le opere prime di mostri sacri come Orson Welles e François Truffaut o registi più contemporanei come Neill Blomkamp e Duncan Jones. Quest’artista non è estranea al mondo del cinema: ha iniziato come attrice, da sottolineare la piccola parte in Babe va in città ( non per l’interpretazione in sé ma perché penso che vedere uno come Miller all’opera seppur in un film minore, può solo fare bene) per poi assistere Lars von Trier sul set di Dogville. Dopo qualche regia televisiva nel 2004 scrive e dirige il cortometraggio Monster che nel 2013 trasforma, rielaborandolo, in quel bel gioiello che è Babadook.

 

La Kent mette in scena le vicende di Amelia, interpretata da Essie Davis, madre vedova che si divide a fatica tra il lavoro e il figlio Samuel, interpretato da Noah Wieseman, bambino vivace ma con problemi di comportamento. La trama si snoda emotivamente intorno alla morte del marito di Amelia, avvenuto lo stesso giorno della nascita del figlio Samuel. La donna non ha ancora superato questa tragedia e malgrado siano passati parecchi anni, si rifiuta di parlare dell’accaduto arrivando a non festeggiare il compleanno di Samuel nel giorno giusto. Si entra nel vivo della trama quando una sera, per far dormire il figlio, Amelia prende dalla libreria “Mister Babadook”, un librone per bambini che non ricorda di aver mai visto e incomincia a leggere (scena magnifica ma andiamo avanti). Da quel momento sembra che siano perseguitati dal mostro del racconto.

 

La regia è misutata in ogni inquadratura e, insieme al montaggio, non fa mai calare la tensione, la fotografia è glaciale e quando arriva la notte dà il meglio di sé. La sceneggiatura galoppa fluida senza rubare il lavoro alla regia con spiegazioni inutili ma mettendo l’accento solo nelle situazioni necessarie. Di rilievo le interpretazioni delle due figure principali e tutti gli attori di contorno sono credibili nell’ottica della vicenda. A Essie Davis bastano pochi minuti per farci comprendere tutto lo stress di questa mamma ormai sul limite di un esaurimento, su tutte la scena con il vibratore esprime perfettamente il senso di oppressione della donna. L’attrice è capace di cambiare completamente registro espressivo nella stessa inquadratura, più volte nel film riesce a prendere in contropiede lo spettatore con un personaggio pieno di sfumature. Il film viene ulteriormente impreziosito da delle invenzioni visive come il volume “Mister Babadook”, un libro pop-up di meravigliosa fattura a cui basta, pagina dopo pagina, aver trasformato minimi dettagli per passare da essere un tenero racconto per bambini a un vero incubo. Il mostro, i cui dettagli rimandano direttamente agli albori del cinema, assume carattere rappresentativo, allegoria delle peggiori disgrazie che possiamo incrociare nel corso della vita e la morale finale suggerisce di affrontare queste avversità senza negarle, acquisendo la consapevolezza che ormai facciano parte della nostra storia. Condividere il proprio dolore e saperci convivere è il primo passo per superarlo e ritornare ad avere un’esistenza normale.

 

I riferimenti al genere, gli omaggi e le citazioni ad altre pellicole sono intrecciati nella trama in maniera fresca e capace, la regista infatti fin da subito gioca a carte scoperte con lo spettatore e ci accompagna in un sorta di viaggio nella storia del genere passando da Méliès a Pola?ski, da Murnau a Kubrick, da Wiene a Carpenter, da Hitchcock a Raimi. Ma, probabilmente, il tributo più grande lo riserva al nostro Mario Bava, anche lui nella cerchia dei registri con esordio folgorante, infatti in più punti della pellicola si può ammirare l’influenza che il maestro ha avuto sulla Kent. Il film parte con una scena che ricorda la mitica sequenza di Schock, ultimo film di Bava, in cui la protagonista, Daria Nicolodi, viene posseduta dallo spirito del marito e realizzata in maniera geniale dal maestro utilizzando un letto girevole. La dichiarazione d’amore arriva però quando la protagonista guarda in televisione l’episodio “La goccia d'acqua” del film I tre volti della paura e dopo poche scene la si vede arrivare verso la macchina da presa con lo stesso famoso trucco che Bava usò nel suo film. Forse sto per fare un salto troppo ardito nella fantasia ma ci ho visto una specie di omaggio a matrioska al maestro sanremese dato che ne Il rosso segno della follia Bava fa vedere in televisione al protagonista proprio un sequenza de I tre volti anche se in questo caso l’episodio è quello de “I Wurdulak”.

 

La Kent però in questo BavaDook (ops…mi è scappato), in questo Babadook riesce a creare, cosa non facile, un film originale, un film di genere con una messa in scena fantastica che grazie alle meravigliose citazioni e a una sottotrama intelligente spicca il volo unendo intrattenimento e autorialità. Voto 8

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