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Madeinusa

Regia di Claudia Llosa vedi scheda film

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La recensione su Madeinusa

di pazuzu
8 stelle

Quando Salvador arriva al villaggio di Manayaycuna, sulle Ande peruviane, la gente è tutta assiepata davanti al palco allestito nella piazza centrale, dove sta per avvenire l'elezione della Vergine Immacolata, ossia della ragazza deputata ad interpretare il ruolo di Maria Maddalena durante l'imminente processione e, al termine della funzione, a chinarsi sul corpo esanime di Gesù Cristo per bendargli gli occhi e dare ufficialmente il via ai festeggiamenti del "Tempo Santo", ovvero il tempo che va dal venerdì della sua morte sulla croce alla domenica della resurrezione, durante il quale egli non è in grado di vedere le malefatte degli uomini, e questi possono dunque sentirsi liberi di peccare senza dover temere il giudizio divino. Qualcuno si accontenta di ubriacarsi e poi farsi scegliere da qualche donna per giacerci in affollati baccanali, qualcun altro di rubare il bestiame alla contadina vicina e sola; Cayo Machuca, il sindaco, ha deciso invece di sfruttare il riposo sabbatico del Signore per fare le cose in grande, pilotando l'assegnazione dello scettro di Vergine Immacolata alla propria figlia Madeinusa, e predispondendo lei affinché, una volta "santa", conceda a lui, in privato, la propria immacolata verginità.
Proveniente da Lima e diretto altrove, il giovane geologo Salvador in questo posto c'è finito per caso, costretto a sostarvi per via dell'esondazione di un fiume che ha interrotto la strada; Manayaycuna, però, significa "la città in cui nessuno può entrare", e l'inospitalità dei suoi abitanti raggiunge il culmine proprio durante questi due giorni di programmatica baldoria: subito catturato e condotto nell'ufficio del sindaco, il ragazzo finisce presto chiuso a chiave nella cantina adiacente alla sua stalla. Dopo esser stata la prima, proprio nel percorso verso la piazza, ad incrociare il suo sguardo spaesato, e dopo essersi resa conto di essersene invaghita, la quattordicenne Madeinusa se lo ritrova dunque in casa, e - mentre l'invidia della sorella Chela per quelle attenzioni paterne che vorrebbe per sé degenera in rancore - medita non solo di offrire a lui anziché al padre la propria purezza, ma anche e soprattutto di scappare lontano, verso la città.

Tutto ciò che Claudia Llosa (figlia di Mario Vargas Llosa, Premio Nobel per la Letteratura nel 2010) mostra in Madeinusa è frutto della sua fantasia: è bene specificarlo a chiare lettere, per evitare sovrainterpretazioni e favorire al tempo stesso riflessioni che vadano al di là dello stretto contesto. Non esiste, dunque, alcun villaggio andino chiamato Manayaycuna, né tantomeno la tradizione del "Tempo Santo", su cui la storia intera è incentrata: ciononostante mai nel corso della visione si ha la seppur minima sensazione di inverosimilianza.
La regista e sceneggiatrice nata e cresciuta in Perù e trapiantata in Spagna, qui all'esordio targato 2006, osserva l'interazione tra i personaggi e l'ambiente con piglio da antropologa, introducendo a freddo lo spettatore alle perverse dinamiche interne alla famiglia Machuca per poi presto svelarne la radice, che è nel vuoto di prospettiva di un'intera comunità, colmato in maniera esclusiva da un misticismo demistificato e dalla rigida osservanza di credenze che trovano l'acuto nel proprio paradosso. Dio sparisce a intermittenza e con lui il senso di colpa, mentre la razionalità è ostaggio di rituali religiosi ibridi e i deboli vittime dei soprusi dei forti.
In un sistema così ermeticamente chiuso, che concepisce come unico viaggio possibile quello dell'immaginazione, l'ingresso dell'elemento esterno, sia pure esso privo di qualunque intento bellicoso, crea una falla che se non arginata può portare gli equilibri verso il precipizio: così Madeinusa individua in Salvador (e nel furgone che tornerà a riprenderlo) il mezzo attraverso il quale alimentare il proprio desiderio di emancipazione, e l'aura di malinconica rassegnazione che marcava la sua esistenza cede il passo alla consapevolezza di poter realizzare lo stesso sogno di libertà che fu già della madre, forse fuggita a Lima anni addietro, forse semplicemente scomparsa.
Segnato da momenti emotivamente forti e percorso da simboli mediamente intellegibili, Madeinusa si presenta come un crudo e doloroso racconto di formazione ma anche al tempo stesso come una parabola amara sul colonialismo occidentale, con riferimento tanto al passato annichilimento degli incas da parte dei conquistadores spagnoli, quanto alla subordinazione culturale delle popolazioni attuali alla nuova potenza (Madeinusa, in Perù, è un nome proprio di persona).
In un cast composto per lo più da attori (al tempo) non professionisti, a colpire è il livello medio molto buono della recitazione, dove a spiccare, tra gli altri, sono Juan Ubaldo Huamán e Magaly Soldier, lui ex comico ambulante perfettamente a suo agio nel difficile ruolo del padre incestuoso e pedofilo, lei scoperta per caso dalla regista (che la sceglierà ancora per la sua opera seconda, Il Canto di Paloma, Orso d'Oro a Berlino nel 2009) e dimostratasi non solo credibile come protagonista, ma anche valente in fase di composizione e canto, avendo scritto di proprio pugno e poi interpretato a cappella tre brani che appaiono in tre scene della pellicola.

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