Regia di Matthew Warchus vedi scheda film
Si potrebbe dire che in Pride manca del tutto il lato sinistro e meno light della lotta che coinvolse i minatori inglesi contro la Thatcher e come in realtà non fosse del tutto lineare ma più complessa e dislocata l’unione dei gay con gli stessi minatori. Solo qualche allusione agli effetti devastanti del liberismo e dell’uso strumentale dell’Aids contro l’omosessualità e le sofferenze che ne sono scaturite. Ma il bello di questo film è fotografare il lato se vogliamo più lieto e accorato della storia, per mettere in evidenza che proprio nel processo delle lotte l’immagine utopica è quella che sostiene, che non fa cadere la resistenza.
In questo senso Pride non è solo una ripresa sugli anni Ottanta ma anche un guardare in avanti, per affermare i diritti molteplici e differenti contro l’omologazione, i pregiudizi, gli stereotipi, e per dire che se c’è ancora un sistema allora sono proprio le differenze che possono fare la differenza contro il sistema. Perché il sistema di cui ci parla Pride non è il potere monolitico e sovraordinato, ma quegli stessi rapporti che si cristallizzano in tutti i gruppi sociali, siano essi i lavoratori, i gay, o tutti coloro che cercano di essere contro l’omologazione. In questi stessi gruppi vediamo insinuarsi il sistema, che non tollera la diversità dell’altro, ma accetta solo le proprie norme di diversità: norme gay, gallesi, operaie, famigliari ecc...
Pride con la sua leggerezza godibile fa saltare le norme, le disfa facendo incrociare esseri umani che si misurano in un confronto continuo, dove l’humor diventa il passaggio essenziale per alleviare la tensione che trapela ma soltanto quanto basta per poi lasciare libero spazio alla formazione della libertà, della lotta comune, del riconoscimento reciproco. Il gay pride che chiude il film non è un anestetico contro la disfatta dei minatori, quasi fosse una consolazione politicamente corretta, ma semplicemente l’appello accorato di un’unità tra forza lavoro e gay che non vogliono stare al loro posto, perché non sono soltanto gay o soltanto forza lavoro, ma esseri umani che testimoniano, fianco a fianco, che il vero senso del comune è nelle diversità unite nel riconoscimento reciproco di quel che ciascuna è nell’altra: potere della moltitudine, dunque, formante e immanente, fatto di vitalità, di presa di coscienza, di crescita, di strette di mano, e di pugni chiusi variopinti contro il monocromatico...
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta