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Sotto una buona stella

Regia di Carlo Verdone vedi scheda film

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La recensione su Sotto una buona stella

di LorCio
5 stelle

Partiamo dalla debolezza più visibile: Sotto una buona stella è una commedia eccessivamente, sfacciatamente, discutibilmente didascalica. La voce narrante di Federico Picchioni spiega ogni limpidissimo passaggio della storia in maniera pleonastica, senza una reale ragione che non si collegi alla diffidenza verso un pubblico pigro incapace di capire l’evidenza di una narrazione piana e trasparente. Esempio più che nobile di un cinema medio di alto lignaggio, l’ultimo film di Carlo Verdone pecca laddove lasciano le penne molte commedie italiane: non riuscire a riempire l’immagine di un significato autonomo, temere che lo spettatore non si dimostri soddisfatto dalla lampante chiarezza di una sceneggiatura tutto sommato discreta. Che, va detto, punta su una struttura frammentaria adatta ad una certa tendenza del cinema di Verdone, impostata sui giochi di coppia e sulle capriole sentimentali dei due innamorati o presunti tali. E punta soprattutto su una serie di gags visive elementari ma efficaci (inciampi, sedie rotte, scivolate) eppure non banali perché abitate da quel meraviglioso corpo attoriale rappresentato da Verdone, peraltro regista assai in forma nel muovere la macchina da presa con leggiadra sicurezza (nonostante perplessità congenite, come gli insistiti zoom, che oramai sono zampate stilistiche).

 

Bisogna dirlo chiaramente: Carlo Verdone è il più grande commediante del nostro cinema, ed essere commedianti in questo Paese, con i magnifici modelli che abbiamo, è impresa da far tremare i polsi. Bastino due sequenze per capire l’arte recitativa di Verdone: l’espressione mortificata e sottomessa di fronte ai ricchi neri cui ha preso la figlia convinto di aver preso la nipote (nera anch’ella), pura commedia fantozziana risolta con una gamma espressiva di sterminata varietà nello spazio di dieci secondi; e i movimenti della bocca e degli occhi mentre tenta di bere un caffè a casa di Paola Cortellesi. Verdone si riappropria della propria dimensione comica, per quanto in un contesto drammatico (la rottura dell’equilibrio è rappresentata dalla morte dell’ex moglie e dal licenziamento, che lo costringe a riprendere in casa i figli), riafferma la sua presenza nel mondo umoristico attualizzando ai tempi della crisi la malincomicità di Maledetto il giorno che t’ho incontrato.

 

C’è anche la spia dell’inadeguatezza tipica del personaggio-Verdone: notare il ritardo che, a poco a poco, alla fine diventa anticipo grazie, in fondo, all’amore, sottolineando che, sì, Federico cambia, ma non arriverà mai puntuale. Inoltre conferisce una certa attenzione all’impianto tecnico, si pensi alla fotografia del vecchio maestro Ennio Guarnieri che esalta un intimismo dettato anche dal fatto che un film soprattutto d’interni e, al contempo, nelle poche scene in esterni, recupera la bellezza popolare di una Roma davvero protagonista. Al netto dei suoi difetti (a parte il didascalismo, le figure dei figli arrancano senza troppa personalità ed altri personaggi, come la fidanzata e il vicino di casa con pitone, sono appena abbozzati; alcuni passaggi, si veda il matrimonio, potevano essere sviscerati meglio), è un film così rassicurante (esce a San Valentino, un motivo ci sarà) e piacevole che alla fine gli vuoi bene.

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