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Incompresa

Regia di Asia Argento vedi scheda film

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La recensione su Incompresa

di LorCio
7 stelle

L’uscita in sala in questo afoso finale di stagione di Incompresa, opera terza di Asia Argento, offre l’occasione per tirare un po’ le somme dell’annata cinematografica. Segnata da un paio di conferme da parte della generazione di mezz’età (per motivi diversi, Virzì e Luchetti sono giunti ai giri di boa delle loro belle carriere) e da una manciata di mezze delusioni (Ozpetek impelagato nel suo manierismo, Papaleo senza il brio dell’esordio, Genovese e i giri a vuoto), dall’apatia della trita commedia nostrana (con le eccezioni, per ragioni differenti, del percorso coerente e personale di Verdone e dei ciclici e rarissimi buoni esiti dei Vanzina) e dalle piacevoli e salutari conferme del cinema più indipendente (su tutti Winspeare e i Manetti). Soprattutto è stata segnata da una serie di opere prime di notevolissima fattura (Sibilia, Pif, Grassadonia e Piazza, Riso, Oleotto) su cui è doveroso, comunque, sospendere il giudizio malgrado i talora ottimi lavori (specie Sibilia, miglior autore di commedia dell’anno).

 

Come si colloca, insomma, in questo panorama tutto sommato discreto, Asia e la sua storia? Si colloca al fianco di Alice Rohwracher e delle sue Meraviglie. In comune hanno degli elementi non solo superficialmente affini: le più che sicure allusioni autobiografiche, una ragazzina al centro della scena, un ritratto familiare. Come Alice, Asia rielabora il proprio percorso in una narrazione a specchio, in cui è impossibile non evidenziare i richiami all’ingombrantissima famiglia d’origine (Charlotte Gainsbourg i cui capelli, ad un certo punto, sono identici a quelli di Daria Nicolodi; le due sorelle di letti diversi; la vicenda di droga che portò in carcere mammà e papà Dario; e soprattutto il nome Aria, secondo nome dell’autrice) ed è comunque impossibile non notare una vena personale e assolutamente coerente col modus operandi e vivendi di Asia.

 

A differenza de Le meraviglie, Incompresa funziona per un motivo molto semplice: non tira mai il freno. A ragione si può parlare di scult: ma è uno scult talmente studiato sin nei minimi dettagli di décor(i poster in casa, la stanza rosa, il mappamondo illuminato, il David di Donatello in casa di Gabriel Garko, Cioè) e di meta-narrazione (Gainsbourg che, guardando il marito-attore Garko in Senso ’45, lo apostrofa come “il più cane”; Aria che si ispira all’Incompreso di Comencini per dare una svolta al suo rapporto con i terribili genitori; il finale a cuore apero) da risultare più che interessante, vivacemente pop, sfacciatamente kitsch, acidamente autoreferenziale, dannatamente sincero. Non è un caso la collaborazione in sede di sceneggiatura con Barbara Alberti, che quando non bivacca nei salotti televisivi è capace di cose anche egregie, con la sua scrittura aspramente femminile nonché pregna di pulsazioni sessuali inespresse che si esalta nel ritratto della famiglia sfasciata e sbandata: la madre ninfomane e drogata, il padre superstizioso e bipolare, una sorella maggiore ingorda e crudele e un’altra sorella più ambigua; solo le spettrali apparizioni di nonna Olimpia Carlisi suggeriscono la possibilità di una famiglia normale (è l’unica a dire che in fondo la piccola Aria “ha solo nove anni”).

 

Asia è un fiume in piena, non si risparmia nulla e inonda il film della sua presenza-assenza, complici la calda cinematografia di Nicola Pecorini e le asfissianti scenografie di Eugenia F. Di Napoli, che conferiscono al lavoro un certo senso di diario segreto con le foto strappate dai giornaletti. È necessario affermare, però, che Incompresa non è il semplice racconto di formazione alla maniera francese come troppi ne abbiam visti negli ultimi quarant’anni, ma il grido di dolore di una bambina che non ha colpe, se non quella di essere nata in cotanta famiglia. In qualche modo è anche l’atto d’accusa contro la generazione contestatrice immatura e indifferente che non è stata all’altezza della prova della famiglia. Pur nelle esagerazioni narrative talora insostenibili, Argento è comunque maggiormente interessata a riscattare la sua infanzia (essì, qui possiamo parlare tranquillamente di autobiografismo, sebbene modulato sui canoni della finzione e via dicendo) e a proporre vie alternative (tutta l’ultima parte) al destino segnato di una povera crista ai cancelli della vita. La bimba è interpretata da Giulia Salerno, semplicemente memorabile.

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