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Godzilla

Regia di Gareth Edwards vedi scheda film

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La recensione su Godzilla

di amandagriss
8 stelle

Godzilla.

Il gigante buono.

La coscienza in ascolto di un’umanità difettosa e corrotta.

La risposta alla sua arroganza di reputarsi onnipotente ed invincibile, alla sua stupida presunzione di considerarsi sana buona e giusta.

Padrona sulla Terra, superiore alla Natura, che da millenni l’accoglie e custodisce come un’ amorevole madre con il figlio, vezzeggiandolo e cullandolo, fino a condurlo all’errata convinzione di poterla dominare e perfino assoggettare.

Addirittura maltrattare.

Ma la Natura pur nella sua infinita bontà, quando occorre, sa farsi rispettare, disvelando in un solo tramortente colpo la propria immane terrificante potenza, ristabilendo gli equilibri, ripristinando l’ordine, ricostituendo quella naturale gerarchia che include tutto ciò che vive e respira, che ha un inizio ed una fine.

Smascherando l’impotenza dell’essere umano. La sua piccolezza e fragilità.

La sua fisiologica precarietà.

 

Godzilla.

Atavica creatura degli oscuri abissi marini.

Mastodontico mostro (con una cresta da urlo e l'alito letale) compassionevole e misericordioso, che rispunta dalle acque ogni volta che l’uomo passa irreversibilmente il segno. Dispensandogli l’ennesima (ma non definitiva) lezione di vita.

Viene in pace Godzilla. Non attacca l’umanità, non la scorge nemmeno per quanto è minuscola. È impegnato a stanare i suoi pari malvagi, combatterli e metterli al tappeto. Che poi l’era preistorica, immersa in un ambiente selvaggio e in spazi aperti a perdita d’occhio, incontri il claustrofobico universo metropolitano, emblema della civiltà contemporanea, è per Gojira -letteralmente ‘balena-gorilla’- un dettaglio trascurabile, che di certo non gli impedisce di portare a termine la sua missione ‘salvifica’.

Per l’uomo, invece, è un’apocalisse.

Distruzione e morte ovunque. Palazzi sventrati, ponti divelti, strade sprofondate.

Il Caos.

Accade quando si perdono le coordinate della propria esistenza.

Quando il passato contiene tutte le risposte al drammatico presente ma non ci curiamo di consultarlo.

Di prestare attenzione, di volgere lo sguardo a quell’enorme bagaglio di esperienza che porta con sè.

Accade quando crollano i riferimenti capaci di non farci inghiottire dall’errore irrimediabile, frutto marcio della stoltezza, della poca lungimiranza, dell’egoismo ottuso, della superficialità, della scelleratezza alla base di scelte consapevolmente sbagliate, prese per convenienza, che non contemplano l’etica, il senso di responsabilità verso la specie umana. L’amor proprio.

Gli uomini impostano e costruiscono la vita sulla scelta.

Ogni maledetto giorno sono chiamati a guardare in faccia la realtà, a scegliere per se stessi e per coloro di cui sono responsabili. Tutti i santi giorni è un tuffo nell’ignoto, un serrato testa a testa col destino, una estenuante partita con la morte.

Ma se le scelte sono ponderate, prese per un bene più alto, per quanto tragiche possano essere le conseguenze, delle quali non disponiamo il controllo, per quanto pesante sia il fardello della colpa con cui convivere, ci si consola (o si tenta faticosamente di farlo) sapendo di aver scelto bene, di aver fatto la cosa giusta.

Il marito con la moglie,

la madre con il figlio,

il soldato con la nazione,

lo scienziato (saggio) con Madre Natura.

 

Dopo la quarantena di Monsters (2010) e le sue maschere antigas che ritroviamo in questo nuovo lavoro (feticcio, tratto distintivo, ossessione?) ad altissimo budget, il cinefilo britannico divoratore di sci-fi Gareth Edwards realizza un portentoso blockbuster con l’anima, forte nei contenuti e maestoso e abbacinante nella forma.

Scalzando quell’orrore fascistoide da elettroencefalogramma piatto partorito dal one man-disaster movie Roland Emmerich, guarda all’originale del’54 di Ishirô Honda e riporta altresì alla memoria quella sostanziosa produzione sci-fi nipponica degli anni ‘60/70, riproponendone la formula, i medesimi combattimenti tra esseri ributtanti (in gommapiuma) dalle macroscopiche proporzioni calati nel bel mezzo del moderno skyline urbano, che nell’età dell’innocenza popolavano la vecchia stimolante tv per ragazzi.

Aggiornandosi nelle tematiche.

L’incubo della bomba atomica lascia il posto allo strapotere dell’elettricità (come nel recente Transcendence), su cui abbiamo fondato la nostra attuale esistenza.

Un black out globale equivarrebbe alla fine del mondo.

Nel frattempo, la computer grafica si è adeguata alla statura dei titani che proietta sullo schermo, restituendoci fino in fondo l’autenticità degli ibridi colossi preistorici che nulla, ma proprio nulla, presentano di posticcio, regalandoci sequenze mozzafiato, un incipit al cardiopalma, momenti di commozione

[il musetto del più bel Godzilla che il cinema abbia sfoggiato mi ha ricordato tanto quello della mia tigrotta Camilla, e pure la stazza e il passo pesante in verità]

e un finale in pieno sole che finisce dritto nella storia della settima arte.

Da non perdere.

 

scena

Godzilla (2014): scena

 

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