Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
Di Senso si è detto parecchio, fin dalla sua uscita che tante polemiche causò nel '54, creando addiritura due fazioni: quelli che a Venezia tifavano per il film di Visconti, supportati dalla sinistra, e quelli che invece parteggiavano per La Strada di Fellini, spinta dai democristiani. Nessuno dei due vinse il festival. Si è poi detto (ridetto, ripetuto fino alla nausea) che il film segna il passaggio dal neorealismo al realismo storico, salvo poi precisare che in fondo si tratta di uno schema che non corrisponde alla realtà (in effetti: Visconti è mai stato neorealista? lascio il quesito aperto). Dei suoi personaggi si è sottolineato come rappresentino un mondo che sta finendo e che non può tornare, della battaglia irredentista che è stata pilotata solo da un certo ceto e che già in nuce conteneva tutte le contraddizioni e i problemi dell'Italia che sarebbe poi nata. E in questo senso (Senso) il film è il nostro Nascita di Una Nazione, con la differenza che Griffith parla dell'America e del suo popolo voglioso (con tutti i problemi che ne derivano) di creare una nuova realtà, mentre Visconti parla dell'Italia, e non necessariamente di quella di fine Ottocento. Forse si è portata poca luce sulla modernità di questa sua opera e su quanto possa valere oggi che viviamo nell'ignavia più totale: perchè la verità è che l'italiano, come la contessa Livia Serpieri o Franz Malher (omaggio fin troppo esplicito a Gustav Malher), una volta raggiunto il benessere, non si cura più del resto. Non importa sotto chi, come o perchè si vive, basta avere il proprio orticello ben coltivato. La storia d'amore di Franz e Livia puzza di morte e putrefazione sin dallo straordinario inizio alla Fenice, gli eccessi melodrammatici trasfigurano la vacuità della loro situazione, come per darne un peso: in realtà dietro c'è il vuoto, l'abisso dell'ignavia dantesca in cui si stanno per gettare. "Ti piacciono questi versi di Heine?" chiede Malher svelando una chiave di lettura del film. Ecco, di Senso più che la ricostruzione storica senza precedenti (e ineguagliata fino a Barry Lyndon di Kubrick), la dichiarazione di poetica (teatrale e cinematografica insieme) dell'inizio alla Fenice, più del discorso politico sulle classi e più di quello cinematografico sul realismo, vorrei mi rimanessero queste fastidiose idee di morte (a Venezia) e indifferenza che sanno molto di italiano. Forse è per questo che Senso non riesco proprio ad amarlo pur riconoscendone la grandezza, perchè sono nato in Italia.
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