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I nostri ragazzi

Regia di Ivano De Matteo vedi scheda film

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La recensione su I nostri ragazzi

di OGM
7 stelle

Atroce. Nei film di  Ivano De Matteo c’è sempre un istante in cui un orrore inatteso si affaccia, con viso sorridente, dentro la normale superficialità della vita quotidiana, sotto l’abituale velo dell’ipocrisia. Noi pensiamo che sia passata, quella borghesia d’altri tempi che feriva duramente la società, con i suoi subdoli colpi di perbenismo, con la sua supponente perfidia eletta ad arma di difesa. La famiglia è cambiata, ci diciamo, adesso è più aperta, di tutto si può parlare, non esistono più problemi di cui vergognarsi. Forse abbiamo ecceduto, nel realizzare, a riparo  delle nostre esistenze, quel materasso di rassicurante franchezza che credevamo avrebbe trasformato ogni sventura, ogni errore, in un innocuo incidente di percorso: una bomba disinnescabile con la potenza di una razionalità libera da pregiudizi, pronta ad affrontare tutto, perché apparentemente immune da assurdi tabù e paure da vecchi bacchettoni. Volevamo prepararci ad affrontare il pericolo, ed abbiamo esagerato, fino a pretendere di cancellare il male, relegandolo nell’oscuro mondo degli altri, di quelli che non sono come noi, perché non sono capaci, perché non capiscono, perché non sono abbastanza evoluti. Ed ecco che allora lo vediamo ritornare, quel fantasma: uno spettro osceno che entra nelle nostre case indossando non più la tenuta prescritta per avere accesso ai salotti bene, bensì un abbigliamento adeguato ai tempi, giovane, tecnologico, spregiudicato,  e pur sempre benignamente rivestito di fanciullesca ed innocente semplicità. Massimo guarda sua figlia Benni, che è venuta a parlargli nel suo studio di avvocato penalista, e ciò che vede è un mostro.

 

 

Alessandro Gassman, Rosabell Laurenti Sellers

I nostri ragazzi (2014): Alessandro Gassman, Rosabell Laurenti Sellers

 

Anche per lui, che ha ormai fatto il naso al fiato pesante dei criminali e all’aria viziata delle carceri,  il pensiero di quella liceale come tante, mascherato dal linguaggio noncurante delle chat via smartphone, assume, improvvisamente, l’odore dell’inferno. È intorno a quella scoperta che si crea un vortice psichico in grado di destabilizzare ogni pretesa certezza degli adulti, ogni desiderio di andare oltre, di coprire il danno, di far finta di niente.  La consapevolezza riaffiora, drammaticamente, sotto l’imbottitura costruita con diligente amorevolezza, riportando alla mente dei cinquantenni ciò che strada facendo avevano imparato, e che hanno dimenticato di tramandare, credendo non fosse più necessario, in un mondo così scrupolosamente protetto. Paolo è un medico affermato, che cura i bambini  ricoverati in ospedale, che li strappa continuamente alla morte, e però non ha saputo insegnare,  al suo Michele, che non si deve uccidere.  È traumatico l’improvviso richiamo ad una realtà di cui, contrariamente a quanto forse  hanno fatto i loro padri, Paolo e Massimo non hanno voluto negare l’esistenza, ma che si sono illusi di poter sospingere via, con gli stessi mezzi con cui si costruisce la ricchezza e si elimina la fame, si assicura la comodità e si evita il disagio, si coltiva la bellezza e si previene il senso del disgusto.  Questo film, che, al pari dei suoi protagonisti, si culla a lungo in una floscia convenzionalità da ritratto di costume, riesce, al momento giusto, a farsi forte: conquista la sua travolgente incisività poco a poco, con inevitabile fatica, quella che accompagna ogni risveglio da un sonno profondo, quando si deve vincere il disorientamento prodotto da un sogno che, d’un tratto, si è trasformato in un incubo.  Nella parte finale, il racconto raccoglie tutte le sue energie intorno a questa lotta, che mirerebbe un po’ a ripristinare lo status quo, un po’ a fare piazza pulita, una volta per tutte, di quel peso che è venuto a schiacciare le coscienze, senza spiegare il perché, senza indicare una via d’uscita. La regia  tratta questo delicato passaggio con mano sensibile e polso fermo, seguendo lo zigzagare delle emozioni con una profondità che si manifesta nell’assenza di pudore, nella incondizionata partecipazione al panico che assale i personaggi, che perturba il quadro della situazione, che fa fuori ogni regola. Atroce è rendersi conto di non sapere: non sapere cosa fare, non sapere quello che si prova, non sapere, soprattutto, chi diavolo si è messo al mondo. 

Luigi Lo Cascio

I nostri ragazzi (2014): Luigi Lo Cascio

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