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Il selvaggio

Regia di Laszlo Benedek vedi scheda film

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La recensione su Il selvaggio

di tafo
6 stelle

Prima di James Dean e di Easy Rider c’è stato Marlon Brando. Lo stravolgimento del metodo di recitazione calato in un contesto di fermento sociale. La piccola città americana invasa da un nuovo modo di vivere eccessivo e senza freni. Prima che i giovani diventino una categoria del marketing, prima che essere libero e selvaggio non significasse più nulla, si poteva intravedere che qualcosa stava cambiando, ritmi e rumori nuovi riempivano le strade. Il problema era che nessuno lo capiva veramente, qualcuno sfruttava la situazione per il suo vantaggio economico, qualcun’altro sperava che la minaccia così come era arrivata sarebbe ripartita senza creare troppi problemi. Il buon senso delle istituzioni e il senso degli affari entrano in conflitto facendo crescere la tensione nella gente morale e puritana che non può accettare a lungo il disordine e il caos portato dai Black Rebels. Il film non ammette possibilità di dialogo tra chi vuole andare sempre al massimo e chi si accontenta del minimo, tra chi vuole bruciare intensamente le sue passioni e chi vuole spegnersi lentamente basta poco ad accendere la miccia. Quando i benpensanti diventano violenti diventano più cattivi di quelli che considerano cattivi sempre pronti al feroce linciaggio del diverso. Quando arrivano i nostri il capo dei << selvaggi >> riesce a salvarsi pronto a cambiare a diventare in futuro per amore di una ragazza più << buono >>. Il film appare oggi abbastanza datato nella sua ingenuità e nel suo intento moralistico che sconfina nel razzismo nella tirata dello sceriffo verso Johnny prima di liberarlo, chiaramente innocente nella tragedia del povero barista ma colpevole, secondo il primo, di avere creato un clima nel paese adatto alla violenza. La controcultura comincia a destabilizzare, con il solo fatto di esistere, le certezze di legge e ordine di un popolo che aveva già allora paura della libertà.

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