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Sella d'argento

Regia di Lucio Fulci vedi scheda film

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La recensione su Sella d'argento

di scapigliato
8 stelle

Capitolo finale della parabola western all'italiana. Non è un tentativo di rinascita di un genere ormai agli sgoccioli, perchè l'anno prima era l'anno di "Mannaja" e altri sei film tra cui il bellissimo "California" sempre con Giuliano Gemma. E poi nello stesso '78 abbiamo l'opera di Monte Hellman con Peckinpah guest star, "Amore, Piombo e Furore" che è la vera pietra finale del genere, visto che uscì ad agosto mentre "Sella d'Argento" ad aprile. Ma il '78 era anche l'anno di "La Notte Rossa del Falco", western più spagnolo che italiano con Gianni Garko. Gli anni '80 hanno poi avuto anche loro i loro Spaghetti-Western, ma sicuramente la saltuarietà produttiva non fa più pensare a pellicole che si muovono all'interno di un genere come tra il '64 leoniano e il '78 fulciano. Così, svelati alcuni misteri della periodizzazione di un genere che sembra morto, ma che in realtà aspetta solo coraggiosi produttori e artisti dalla vena irriverente e altrettanto coraggiosi per portare sullo schermo storie epiche ed estreme allo stesso tempo, forti e provocatorie come in quei mitici '70, e i nostri tempi sono ormai maturi, come dicevo svelate le coordinate di un genere mai morto è facile vedere nell'opera di Fulci non più quell'atto funebre sullo SW ma un film da inserire all'interno del suo stesso percorso. Non è un capolinea. Nemmeno un tentativo fallito di western crepuscolare alla Peckinpah. Siamo piuttosto nei dintorni dell'elegia infantile, visto che con il personaggio del piccolo Barrett è chiara l'intenzione del film di essere per le famiglie. Anche l'atmosfera scanzonata dell'intero film porta sulla strada della favola western un po' come i due film su Zanna Bianca. Fulci sa bene come fare un western e sa su cosa puntare: il volto veterano di Gemma, un caratterista di razza come Geoffrey Lewis, una colonna sonora bellissima firmata Bixio, Frizzi e Tempera, interni ed esterni chiari fin da subito, riconoscibilissimi e soprattutto ben resi dall'esperto Carlo Simi che ha curato pure i costumi, e Sergio Salvati che ha fotografato con nostalgia la terra più bella del mondo. Si respira il western migliore anche se alcune scelte sono poco felici e sanno di riciclato. Ma credo che nell'affettazione spessa di trama e personaggi risieda il tentativo del regista di svuotare il suo western di qualsiasi commento autoriale possibile e farlo diventare semplicemente un racconto che sa di archetipico. Battute buttate lì, appiccicate ai personaggi senza criterio, sono lo specchio di una regia che guarda di più alla suggestione che certi ambienti con una certa storia di mezzo sanno dare allo spettatore. Infatti, come analizzato da Albiero e Cacciatore nel volumone "Il Terrorista dei Generi" ci sono spunti fulcinai sparsi qua è la. Nonostante il target da famiglia del film ci sono ammazzamenti singolari e ben studiati, tipici di Fulci, come al cimitero gotico poco fuori al Cortijo del los Frailes (la missione Ramirez de "Il Buono, il Brutto, il Cattivo"). Oppure altri accorgimenti tecnici che possono così diventare il commento d'autore del regista ad un film su commissione come questo, in virtù della poetica fulciana che era indirizzata nettamente verso le componenti visive del film piuttosto che alla plausibilità della trama.
In definitiva Fulci gira un film che è puro western, molto archetipico, più legato alla tradizione americana (vedi "Il Cavaliere della Valle Solitaria")che a quella italiana, ma sempre capace di graffiare qua e là con soluzioni personali.

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