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Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick

Regia di Ron Howard vedi scheda film

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La recensione su Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick

di scapigliato
9 stelle

Un wilderness drama che attraverso animal attack movie e hunting movie definisce nuovamente quello che dopotutto è il primo dei monster movie moderni: Moby Dick (1851).

Il film naviga alle radici dell’epica americana e mette in scena uno dei primi tentativi di definizione identitaria del neonato uomo americano – altri sono Rip Van Winkle (Washington Irving, 1819) e L’ultimo dei Mohicani (John Fenimore Cooper, 1826). Capitalismo, dominio sulla natura, centralità dell’uomo bianco e cristiano, classismo: tutte voci che compongono il film di Ron Howard e che strisciano in bassocontinuo nelle migliori opere letterarie americane di quell'epoca.

Anche il cinema si è ben nutrito di certi temi e gli ha portati sul grande schermo fin dalle origini, riservandogli un posto d’onore nel famoso decennio della New Hollywood. Da allora, c’è sempre stata un’altra America, meno conservatrice, meno patriottica, più ambigua e più anticonformista, che ha trattato tematiche scomode per ridefinire la propria identità mettendo in luce le contraddizioni del Grande Paese e smascherando la miseria, l’ignoranza e la frustrazione di molte fasce della popolazione alla base dell’inquietante concetto di “diritto alla violenza”: il germe primitivo dell’homo americanus.

Il cast poteva essere scelto con più accortezza: il giovane Tom Holland li batte tutti; Chris Hemsworth, a cui sarebbero stati preferibili Charlie Hunnam o Tom Hardy, è comunque più che credibile in un ruolo prettamente fisico e animalesco; nulla da dire sulla qualità e la presenza scenica di Cillian Murphy e Brendan Gleeson; non pervenuto (ironia, ndr) Benjamin Walker.

A parte qualche infelice scelta di casting e qualche ossequio alla retorica drammatica del contesto, In the Heart of the Sea ha pochi difetti. Il più facile nel quale poteva cadere era quello di non saper rendere il grande racconto epico nei limiti del grande schermo. Grazie a tecniche di ripresa interessanti e innovative – tendenza rintracciabile anche in The Revenant (2015), Mad Max: Fury Road (2015) e Spectre (2015) – dalla soggettiva inusuale, antinaturalistica e al tempo stesso inclusiva, realistica, tendente a estendere a più soggetti la partecipazione a un unico momento narrativo-emotivo, la regia riesce a conferire all’epica un tono fiabesco e alla dimensione fantastica, mostruosa ovvero prodigiosa, un animo epico. Inoltre, distorte da riprese suggestive, molte inquadrature e molte scene sanno rendere visibile un’emozione, uno stato d’animo, una percezione anche sensibile dell’intorno finzionale.

Il digitale, come succede raramente, aiuta a creare composizioni quasi pittoriche attraverso colorazioni a volte desaturate e a volte pregne di colore e vita. Il richiamo alla pittura dell’epoca romantica – William Turner su tutti: guardatevi Il naufragio della Minotauro (1793) o La valorosa Téméraire (1839) – è fortemente voluto da Howard per restituire l’epica marinaresca come un fantastico enigma. La natura stessa, vuoi i grandi cetacei, vuoi le interminabili distese oceaniche o la nera isola vulcanica pietrosa e inospitale – ricavata alle Canarie tra La Gomera e Lanzarote – viene rappresentata emotivamente nel suo incontro/scontro con l’uomo. Può anche risultare banale l’ultimo scambio di sguardi tra il protagonista e il grande capodoglio bianco, ma è necessario per ribadire l’importanza di un dialogo vero tra uomo e natura. Altre questioni, come lo sfruttamento insensato e capitalistico delle risorse naturali e l’arrogante miopia della borghesia legata al prestigio sociale e alla logica del profitto, fanno il resto.

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