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Il giovane favoloso

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il giovane favoloso

di ed wood
10 stelle

Un Martone particolarmente ispirato realizza il suo capolavoro e, probabilmente, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, destinato a rimanere nella Storia del nostro cinema. Un salto di qualità rispetto al precedente "Noi credevamo", che era senz'altro una preziosa, lucida e disincantata interpretazione dei moti risorgimentali, ma che adottava uno stile quasi di retroguardia, didascalico, para-televisivo in certi frangenti. Nel "Giovane favoloso" abbiamo invece un ritorno al Martone creativo degli anni 90, quello che componeva sequenze estrose e anticonvenzionali senza per questo eccedere nel barocco gratuito. Questo film però supera anche i vari "Morte di un matematico napoletano" e "Amore molesto" poichè sa conciliare le invenzioni registiche con la solidità del biopic, con la nuda emotività scaturita dal protagonista e dalla sua opera, con un discorso poetico e concettuale di grande spessore. E' un film che, come molti capolavori, deve il suo fascino e la sua riuscita al fatto di saper far coesistere gli opposti: da una parte, è una vivida rievocazione dello spirito e dei luoghi di un'epoca (l'Ottocento italiano, prima del Risorgimento); dall'altra, affronta la materia da una prospettiva moderna, attuale, universale (riflettendo, del resto, il senso dell'opera leopardiana, troppo avanti per essere compresa dai suoi contemporanei). Si è parlato di un "Leopardi liberato", di una lettura anti-scolastica del poeta di Recanati. Senz'altro. Però questo non significa che il Leopardi di Martone sia storicamente inattendibile nè stravolto nei suoi tratti caratteristici: si tratta pur sempre di una figura di grande malinconia ed infelicità, perennemente frustrato da una realtà deludente (sia quella ottusa del piccolo borgo marchigiano, sia quella superficiale delle grandi città), in conflitto con gli uomini del suo tempo e con la Natura indifferente, timido e impacciato con le donne, perennemente avvilito dal pensiero della Morte.  A Leopardi stavano strette tanto la rigida educazione religiosa della propria famiglia quanto l'ottimismo progressista del Giordani e degli altri liberali. La bravura registica di Martone consiste anche nella misura con cui delinea questi conflitti: non c'è pietismo, nè vittimismo nel modo in cui tratteggia il suo Leopardi. Nè chi lo circonda è definito in maniera odiosa, anzi: a parte l'umiliazione della sequenza del bordello (uno dei tanti highlights presenti in questo film, dove quasi 2 ore e mezza passano in un battibaleno, ed ogni scena pare vivere di luce propria per quanto è intensa e necessaria), Leopardi è sempre ritratto circondato da gente benevola, rispettosa, che forse non lo ama ma senz'altro lo stima. Questo rende ancora più cocente ed inguaribile il suo disagio esistenziale. Elio Germano, in una parte difficilissima, contribuisce significativamente a rendere memorabile il personaggio, ma in generale tutto il cast è azzeccato (a parte forse la Ragonese, per una volta poco ispirata). Risulta difficile individuare un momento clou o una trovata particolarmente geniale in un film di tale brio espressivo. Si potrebbero citare i diversi momenti visionari, dalla morta che apre gli occhi all'incubo della ladra, dal dialogo dell'islandese con una metaforica statua fino all'episodio in cui Leopardi sfoga la sua rabbia inveendo contro il padre (ma solo nella fantasia, come suggerisce un semplice ma potente gioco di montaggio). Oppure le splendide composizioni figurative, come il contorto corpo di Leopardi ripreso dall'altro sulla riva di un fiume, come una chiazza nera in una natura crudele; o il poeta schiacciato sul fondo dell'inquadratura, sovrastato da una libreria ripresa in grandangolo; o l'uso inventivo e metaforico delle finestre e dei soggetti ripresi in profondità di campo. E quelle emozionanti soggettive con camera a mano e musica elettronica in sottofondo. E i momenti di pura tenerezza e straziante umanità, come Leopardi che corre ad abbracciare il Giordani o che getta nel fuoco una lettera dell'amico Ranieri; momenti di sobrio pathos, ben bilanciati dalla garbata ironia che fa capolino in alcuni momenti della seconda parte. Difficile anche stabilire quale contesto geografico-sociale sia stato rappresentato con maggiore forza e grazia, se Recanati, Firenze, Roma o Napoli (propendo per quest'ultima, davvero suggestiva, visto anche che Martone giocava in casa). Che dire poi del raffinato intarsio di poesia pensata (o declamata) ed immagini? E di quello fra immagini e suono fuori campo (eccezionale la sequenza del Leopardi infermo in camera, in una Napoli infestata dal colera, mentre dalla finestra si odono le meste implorazioni di una processione cristiana)? Vogliamo parlare poi del finale, che batte Malick sul suo stesso terreno, nell'accostare immagini naturalistiche (per nulla patinate) alla poesia (quella vera!), sempre mettendo l'Uomo e i suoi sentimenti primari al centro di tutto? Film mentale, ellittico, fratturato, eppure empatico, trasparente, vibrante, servito da montaggio e fotografia a livelli eccezionali, "Il giovane favoloso" è un'opera di importanza capitale per come sa creare, commuovere, informare, riflettere, appassionare. Un film colto e popolare,  complesso e immediato: semplicemente un capolavoro.

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