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Il ragazzo invisibile

Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il ragazzo invisibile

di ROTOTOM
2 stelle

PIU' CHE INVISIBILE, INGUARDABILE.

Catarsi di un fallimento. Un film che parla di un ragazzo invisibile e che di fatto è un film invedibile. Una certa critica distratta adotta verso Salvatores una strana indulgenza, al di là di ogni evidenza artistica, forte del fatto che sia l’unico italiano che tenti di fare film di genere. La realtà è un’altra. Gabriele Salvatores è l’unico italiano al quale sia concesso di uscire nelle sale con film che aspirano al genere, spesso tendenti al pessimo, forte dell’aura di autorialità conseguita con la santificazione dell’Oscar. Come se l’omino dorato e nudo potesse essere balsamo in grado di lenire qualsiasi sconcezza. Il genere in Italia si fa, davvero. Ma viene esportato all’estero. O non distribuito. Nascosto. Quello privo di nomi altisonanti e di pretese di vertiginosi altezze autoriali. Quello degli Zarantonello, dei Bianchini, dei Piva. Michele Placido è emigrato per poter fare i suoi polar in santa pace senza le spossanti polemiche anticinematografiche sull’etica del contenuto delle immagini dei suoi film.

Quello che era un cinema emozionante del Salvatores dei primi tempi, quello della fuga, della ricerca del sé al di fuori di una condizione di vita standardizzata culminata, giustamente o meno, con l’Oscar di Mediterraneo, si è trasformato in una standardizzata emulazione del film di genere, universale per definizione, costretto in una dimensione rionale, indecisa, un po’ piaciona. Il noir de noantri di Quo vadis baby?; la fantascienza all’amatriciana nel caos stilistico di Nirvana; la maniera di Educazione Siberiana.  Tra esperimenti poco riusciti come Denti o decalcomanie pastello dei film di Anderson (Wes) spadellate in Happy Family, Salvatores ha abbandonato progressivamente la propria via stilistica per abbracciare quella altrui.

Sul coraggio non c’è che dire. Sui risultati c’è da dire molto.

locandina

Il ragazzo invisibile (2014): locandina

Il ragazzo invisibile è davvero un brutto film. Purtroppo. Il trailer evocativo aveva fatto ben sperare su una svolta radicale della concezione nostrana del film di genere, su un approccio immediato e diretto. Il titolo infatti non lascia dubbi sul tema del film. Quello che si srotola pigro sotto gli occhi dello spettatore è invece un ibrido timido di idee altrui anelgesizzate dalla paura di sporcarsi. E’ la storia di Michele (Ludovico Girardello) tredicenne vessato dai bulli, innamorato della compagna Stella (Noa Zatta), timido e problematico come la maggior parte dei tredicenni. Un giorno scopre per caso di essere in possesso del potere di diventare invisibile. E per queste premesse c’è bisogno di un tempo intero. Il secondo tempo è un delirio di trame che si intrecciano e si disperdono, un misto tra i Goonies e gli X-Men con mutanti mutuati da un sotto-immaginario Marvel. I russi, i flash back e gli spiegoni. Un Salvatores poco ispirato mette tutti i difetti del peggior cinema americano al servizio di una storia esile e alla fine banale. Un film derivativo, pasticciato nella messa in scena, ipocrita nell’ inoculare tematiche sociali nella forma del fantasy per famiglie teledipendenti – pubblico di riferimento del film - piuttosto che andare fino in fondo nelle conseguenze fisiche e psicologiche di un potere capace di stravolgere l’esistenza di chiunque. Il percorso di formazione, intento principale del regista, è nullo in quanto il personaggio del ragazzino non evolve. I compagni bulli sovra recitano. La Golino ispettrice di polizia è irricevibile. Bentivoglio spaesato.

Il film sbanda paurosamente tra il vorrei ma non posso e il potrei ma non voglio. Senza prendere una direzione chiara si adagia su cliché filmici di modesta fattura. Senza ritmo. Senza coraggio. Con i buoni che sono tonti e i cattivi da operetta. Non è una metafora del cambiamento del romanzo di formazione e non è un thriller. Non è un film di supereroi. Perché da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Questo è un comandamento che nell’universo pop della realtà amplificata ed estesa da inconcepibili poteri, è imprescindibile. Un comandamento che chiunque si accosti al genere deve tenere in considerazione. Soprattutto per chi produce e realizza. Si ha un grande potere in mano: costruire una storia. Le responsabilità devono essere tenute ben salde in pugno. Come redini.

Ludovico Girardello

Il ragazzo invisibile (2014): Ludovico Girardello

Il ragazzo invisibile è un film che nasce già vecchio, ostenta un’ingenuità posticcia e ambisce alla giocosa cialtroneria dei film americani anni ’80 dei film d’avventura per ragazzi ma è carente di immaginazione e al contempo è funestato e oppresso dalla nostra maledetta tradizione dell’esacerbazione dei temi (il bullismo, la formazione, la crescita) che possa aggiungere (ma non è mai così) valore al film e soprattutto, nella nostra errata concezione tutta italiana, darne dignità. Nei film di genere è l’azione che determina il carattere dei protagonisti non la loro cervellotica elucubrazione esistenziale. Tanto che è assolutamente mancante la componente fondamentale del film d’avventura: l’immedesimazione. I personaggi scorrono sullo schermo incuranti dello spettatore. Non si sogna con loro, li si guarda distaccati come si guarderebbero pesci grigi in un acquario spoglio.

Nota personale: se potessi diventare invisibile, col cazzo che lo farei sapere a tutti come fa quel cretino di ragazzino.
La sensazione è proprio questa. Che si sia creato un film senza porsi la domanda cardine che dovrebbe muovere le azioni dei personaggi: cosa farei se potessi diventare invisibile? Come cambierebbe la mia vita?

 

Quando poi la storia intima della manifestazione del potere si allarga ad uno sgangherato complotto di mutanti, il film evapora del tutto senza riuscire a rendersi all’interno della propria ontologia, minimamente credibile. Il sogno di ogni adolescente – o adulto con spiccata propensione al sogno – capace di rendersi invisibile sarebbe quello di ficcarsi beato nello spogliatoio delle donne per vederle nude. Cosa che effettivamente succede, ma guarda un po’ nello spogliatoio delle docce le ragazze sono tutte in mutande e reggiseno. Non si vede una tetta. Strano. Non c’è l’esigenza di mostrare genitali in primo piano, ci mancherebbe, ma un minimo di coerenza si. Perché dovremmo credere alla storia del ragazzo invisibile quando la SUA realtà, quella che ci viene raccontata, cade pesantemente sotto i colpi di un pudore maligno assolutamente ingiustificato? Perché nel duemilaquattordici, dopo decenni di film boiata che mostrano come climax il pannello con il conto alla rovescia dell’autodistruzione, un film dovrebbe aggrapparsi ancora a questi miseri espedienti? Il film fallisce proprio sul  meccanismo che muove il film di genere. Ciò che accade, la coerenza, il coraggio che manca. Le facce che non ci sono.  Ecco. I personaggi non hanno la faccia giusta per fare ciò che fanno. Non sono credibili. Dicono cose sciocche in maniera sciocca. E il film muore in un trionfo di nulla che si dimentica subito. Per fortuna.

 

P. S. Per chi volesse approcciare un film dove adolescenti entrano in possesso di poteri straordinari, recuperare assolutamente Chronicle (2012) Un film realizzato da giovanissimi, recitato benissimo, scritto da Max Landis gran figlio di John che sa quel che fa. Davvero. Qui c’è tutto quello che Salvatores avrebbe voluto ma non ha fatto. O avrebbe potuto ma non ha voluto fare. Fate voi.

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