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Pompei

Regia di Paul W.S. Anderson vedi scheda film

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M Valdemar

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Pompei

di M Valdemar
4 stelle

Ci vuole una pazienza divina per sorbirsi un'oretta di surrogato de Il gladiatore, con una trama esile esile (al limite della rottura ...), dialoghi risibili e retorici, sottotesti puerili e contrapposizioni elementari (in sintesi: romani cattivi, i loro schiavi belli, buoni e sfortunati), combattimenti soporiferi, musica enfatica e una stentata, fatua storiella romantica.
Paul W.S. Anderson, palesemente - e storicamente - incapace di conferire interesse e solidità al racconto e di oltrepassare le frontiere della mera convenzionalità blockbusteriana, poi, infierisce: mentre sullo schermo scorre - invero stancamente - l'ennesima vicenda di vendetta e riscatto, lui allude (furbescamente) al vulcano, vero protagonista del film. Brevi riprese aeree e interne, sinistri suoni gutturali dal profondo, sbuffi nerastri sospetti che nascono nella montagna, la maestosa figura che si staglia sino al cielo come un dio vigile e onnipotente sulla cittadina di Pompei: il Vesuvio sta lì, in attesa.
In attesa, ancora. Sapendo con esattezza ciò che avverrà.
Eppure il regista di Resident Evil continua imperterrito su mezzi che non sa governare, cincischia, annaspa, ammorba con siparietti scipiti, indugia sugli addominali a tartaruga del Jon Snow di Game of Thrones (magari averne avuto gli autori qui!) come sulle labbra sottili e infide di Kiefer Sutherland - villain dimenticabile (non certo per colpa di "Jack Bauer") -, insiste sulle manfrine da epica guerriera con frasi-sentenza ridicole e pose tronfie, banalizza la sensualità di Emily Browning (mono)dimensionandola in un modellino di fanciullina sospirosa e noiosa. Sì, il peggiore degli Anderson registi, non lavora bene sugli - e con gli - attori, a causa certo anche dello script scadente.
Narrazione e personaggi buttati in caciara; difficile decidere dove abita il peggio, tra gli echi di mille altre cose già viste (e malamente ricopiate) e psicologie d'accatto: immancabili i comprimari valorosi (specie se neri) destinati a fare una brutta fine, le sottilenature grossolane delle virtù dell'eroico protagonista (detto anche "l'uomo che sussurrava ai cavalli") e della sua amata (detta Cassia la casta, o l'illuminata), e delle caratteristiche dell'antagonista, sanguinario e crudele fino al midollo (o fino all'insulsaggine).
Non resta che - piangere e - pensare: ok, Paul, taglia corto, e dai fuoco alle polveri! E, finalmente, tutto esplode.
Una potenza pazzesca, un crescendo incredibile (e assai credibile per come evolve): i primi piccoli botti che già sono infasuti presagi, fumi e polveri che s'innalzano e si riversano sul paese, i fulmini all'interno della colonna di fumo, il rosso della lava che si diffonde in ogni direzione, pietre scagliate a folle velocità. Ancora eruzioni e scoppi, d'intensità sempre crescente; e lava, sassi, tsunami che tagliano vie di salvezza e affogano speranze e corpi, nubi di gas tossici che inghiottono cose e persone e animali ammantando l'atmosfera d'un furioso innaturale nero.
Da fine del mondo.
Finché - mentre tutt'attorno si consumano le avventure (senz'altro più interessanti ora in quanto tremendamente strumentali al grandioso evento) di eroi, dame in pericolo, e bastardi spietati che non sembrano soccombere mai - l'ultima, devastante esplosione sancisce il trionfo della montagna e della Natura.
Un'ondata di tenebra, impetuosa, violentissima, invincibile - la Morte - li seppellirà. Come li seppellisce.
Impossibile tirare il fiato: in questo, il regista sa il fatto suo. La resa visiva è avvincente (e convincente), di ottima caratura, complice anche un 3D nient'affatto superfluo, e una materia incandescente gestita con senso e gusto dello spettacolo, del puro intrattenimento.
Peccato aver perso tanto tempo. Non sarebbe stata affatto una cattiva idea affidare ad Anderson la direzione della componente action, da disaster movie, e a qualcun atro più qualificato la storia, la gestione del dramma, la direzione degli interpreti (fermo restando anche l'impiego di un copione decente, non che ci volesse poi molto).
Piuttosto, sorprende, in positivo, il finale. Si aspetta, quasi rassegnati (ma anche speranzosi, a meno che non si sia dei cinici insensibili), che la fuga dei due innamorati dal totale annientamento causato dal dio vulcano finisca nel migliore dei modi, invece ...
Un bacio, proprio all'ultimo, regala, nella confusione generale, l'unico momento di poesia (vera - per quanto "facile" - poesia, perché testimonianza storica di tragica bellezza).
Un bacio arso dalla furia distruttrice degli elementi e scolpito nella pietra dei Tempi.

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