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Arturo

Regia di Steve Gordon vedi scheda film

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La recensione su Arturo

di maso
7 stelle

 

 

L'affermazione di Cristian De Sica calza a pennello: "E' Cenerentola, è My fair lady, è Pretty Woman......ogni epoca ha il suo e funziona sempre".

E' proprio il caso di questa commedia anni ottanta dal sapore smaccatamente vintage che rimanda alla vecchia Hollywood nella quale Dudley Moore interpreta il rampollo di una ricca famiglia newyorkese che per non morire di noia spende e spande, si ubriaca appena può e logicamente non conosce la parola lavoro.

La famiglia gli impone di sposare la pari rango Susan Johnson, il matrimonio gli consentirà di ereditare una fortuna ma ecco l'imprevisto che si cela sotto forma di cravatta rubata nella boutique di fiducia per mano della commessa di umili origini Linda Marolla, colpo di fulmine e guai in vista.

I più giudicano "Arturo" una commedia leggera e divertente ma in realtà il protagonista sotto una parvenza di gogliardia sperticata nasconde una profonda malinconia: è in realtà molto solo, non ha un amico vero se non il suo maggiordomo Hobson che lo ha seguito fin da bambino e che ormai anziano e malato lo lascerà ancora più solo, è un bambinone che anche da grande continua a giocare con i suoi trenini, è ricco sfondato ma come se non bastasse è obbligato a sposare una donna che non ama affatto per diventare ancora più ricco e accontentare la scorbutica mamma, trova nell'alcool l'unico antidoto per darsi quell'accento di felicità che in realtà non ha.

Ecco quindi che l'incontro con Linda si incastona nella sua vita come l'unico episodio genuino e spontaneo per il quale lottare e trovare una propria identità e maturità.

L'ho trovato quindi più malinconico che divertente e non così memorabile, certo l'alchimia fra Moore e Gielgud è notevole, il veterano attore britannico non voleva accettare la parte ma dopo diversi tentennamenti non potè rifiutare il lauto salario offertogli e si aggiudicò un meritato oscar per la caratterizzazione del maggiordomo mentore Hobson a coronamento di una prestigiosa carriera, lo scorcio del film in cui Arturo lo assiste notte e giorno ribaltando i ruoli è fissato su toni perfetti, niente lacrime ma neanche una inopportuna comicità, Arturo stacca con il bere per stare vicino in maniera dignitosa a colui che è stato come un padre: "Arturo ha un aspetto orribile" - "E' la prima volta che mi vede sobrio Hobson", di sicuro la parte del film che preferisco.

Moore era nel periodo migliore della sua carriera, era reduce dal grande successo di "Ten" dove aveva soffiato il ruolo a George Segal, in lizza per interpretare Arturo lo fregò sul filo di lana per la seconda volta e il film di sicuro ci ha guadagnato perchè Moore era uno show man capace di suonare il piano e cantare ed essendo inglese, al contrario di Segal, ha donato ad Arturo quell'aria da dandy ubriacone innocuo e guascone.

La controparte Liza Minelli tiene il passo con la sua verve e il fatto che non sia la donna più sexy della terra certifica la scelta azzeccata di chi si è occupato del casting.

La regia di Steve Gordon è essenziale e senza guizzi, si è limitato a far trottare i suoi attori e ricavare il meglio dalle loro capacità, purtroppo rimarrà la sua unica impresa cinematografica perchè morirà circa un anno e mezzo dopo tanto che il fiacco sequel del 1988 sarà a lui dedicato.

Ancor più del film viene però ricordata la travolgente "Arthur's theme" scritta da Burt Bacharach e cantata da Christopher Cross: proprio il connubio fra le sonorità seventy dell'autore e il timbro più contemporaneo del cantante hanno reso questo brano meritevole dell'oscar alla miglior canzone originale, l'intreccio degli accordi in settima e settima maggiore fanno da tappeto alla voce molto soft di Cross e il sax colora il tutto con una vena jazz che si intona perfettamente all'umore del film e l'atmosfera di una New York da bere che fa da teatro a questa commedia romantica comunque piacevole.

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