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La campana

Regia di Fredy Torres vedi scheda film

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La recensione su La campana

di OGM
8 stelle

Nella primavera del 1982 l’Argentina è scossa  dalle manifestazioni popolari contro la giunta militare, dal dramma dei desaparecidos, dal dispendioso diversivo della guerra delle Malvinas. Tuttavia, per la giovane Laura, il tumulto in corso ha connotati del tutto personali. Ad essere in subbuglio è la sua vita di figlia, di adolescente, di donna. Suo padre, il comandante del peschereccio El Morel, ormeggiato presso il porto di Mar del Plata, è improvvisamente morto d’infarto. Lei, rimasta orfana, viene affidata alle cure di Juan, collega del padre, che la ospita in casa sua. Qui la ragazza dovrà convivere anche con Lucho, il figlio di Juan, che è pressappoco suo coetaneo. Per lei inizia così un periodo di grande incertezza interiore: il dolore per li lutto che l’ha colpita si mescola con nuovi sogni a cui non riesce a dare una forma concreta, e a cui il mondo guarda con ostilità. Laura vorrebbe uscire in mare con la barca per pescare, ma tutti le dicono che quel mestiere è roba da uomini, e non si addice certo ad una bambina.  Per Lucho vorrebbe diventare una sorella, mentre il ragazzo vede in lei una possibile moglie. Lei, per contro, comincia a provare un sentimento particolare per Juan, che, però, non dà segno di ricambiarlo. Questa favola potrebbe avere un finale, triste o lieto che sia. Invece interviene un misterioso fenomeno ad interrompere il corso del tempo: è la campana, che si trova da qualche parte là fuori, in alto mare. È una capsula invisibile, in cui si entra e si rimane catturati senza accorgersene.  Lì dentro i minuti corrispondono a quelli che, per il resto del mondo, sono anni interi. Finire in quell’involucro soprannaturale equivale a sparire, per un periodo tanto lungo da confondersi con l’eternità: un per sempre che cancella la speranza in un ritorno, ed è quindi un nulla paragonabile alla morte. Chi non crede alla realtà di quel pericolo non fa che alimentare confortanti leggende sul destino delle persone che, un giorno, sono inspiegabilmente scomparse: c’è chi dice che quel tale sia fuggito in Uruguay. Invece non è vero, perché quel tale, dopo sedici anni, è ritornato, ed è non più lo stesso. Essere di nuovo lì, come un alieno proveniente da un remoto passato, è un incubo inimmaginabile. Può facilmente diventare una colpa, quella di cui si rende reo chi parte senza avvisare, lasciando tutti nei guai, e poi si fa rivedere quando è ormai troppo tardi. Provocare questa angoscia è un delitto che non ammette perdono: è  un gesto che sconvolge le vite altrui, indefinitamente e incomprensibilmente. Quando i rapitori rimangono nell’ombra (ed è più che lecito dubitare della loro esistenza), è ovvio che la responsabilità della scomparsa venga tutta addebitata al rapito: una persona che si è permessa di prendere il largo proprio nel momento in cui c’era maggiore bisogno della sua presenza. È la logica del mondo rovesciato in cui regnano l’omertà, la paura, la vile negazione dell’evidenza. Ed è anche la versione distorta della verità che i regimi totalitari fabbricano ed i cuori afflitti accolgono di buon grado per non arrendersi all’inevitabile. La campana è la voce della disperazione che, risuonando nel vuoto, arriva a simulare un lontano richiamo di amore:  quello che sembra poter dare un senso all’assurda crudeltà di una separazione.

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