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Wolf Creek 2 - La preda sei tu

Regia di Greg McLean vedi scheda film

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La recensione su Wolf Creek 2 - La preda sei tu

di amandagriss
7 stelle

 

Lasciate ogni speranza, voi che entrate

 

Torna Greg McLean e con lui Mick Taylor, il serial killer che infesta l’Outback australiano.

L’assassino dei turisti, l’incubo -brutto sporco e cattivo- ad occhi aperti per tutti gli stranieri che s’inoltrano nell’entroterra sconfinato e semidesertico del continente;

kilometri e kilometri di territorio remoto, selvaggio, inospitale, quasi interamente disabitato;

la Natura esplode in tutta la sua furia: impossibile imbrigliarla, contenerla, addomesticarla.

Occupa incontrastata quello che è il cuore pulsante dell’Australia, la sua parte integra, genuina e incontaminata, non ancora martoriata dagli esodi di massa, dal boom vacanziero brulicante sulle sue coste paradisiache.

Il silenzio perenne è una realtà e non un ideale a cui tendere.

Affascinante e spaventoso insieme.

Chi varca la soglia dell’Outback si trova in mezzo al nulla.

E, inconsapevolmente, dentro la tana del lupo.

Il lupo in questione è Mick Taylor, tipico buzzurro autoctono di mezza età ma con la forza di un giovane ed affamato leone, che ha fatto del suo vecchio mestiere di sgozzatore di maiali una missione salvifica per la sua terra, contro le invasioni barbariche da parte del resto del mondo.

Mick conosce questi luoghi dimenticati come le sue tasche.

Sono la sua casa, la sua ragione di vita.

Chiunque osi penetrarvi può considerarsi già morto.

Chiunque incappi sulla sua strada ha i minuti contati.

Chiunque lo incroci non è uno sfigato, con Mick non è mai una questione di sfortunata coincidenza.

Piuttosto il segno tangibile di un piano sottile e diabolico, architettato ad arte, il cui scopo -unico e solo- è stanare la preda ed annientarla.

Perché Mick si risveglia dal suo letargo e per metà dell’anno va a caccia, senza mai fermarsi, portando felicemente a termine, tutte le volte, il suo lavoro.

È un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo.

Soprassedere ai delicati equilibri dell’intero ecosistema, tutelare la specie indigena.

Contro ogni forma d’imperialismo. Economico e culturale.

Mick ha il fiuto di un sopraffino predatore, è scaltro e intelligente quanto basta per continuare ad agire indisturbato, e quando adocchia la preda è pronto a tutto pur di farla sua.

Chi osa mettersi di mezzo è spacciato.

Chi osa sfidarlo commette uno sbaglio fatale.

Mick si muove sicuro in autostrada come nelle zone sterrate, nel buio più fitto come sotto il sole cocente.

Fa fondo a tutte le sue, a quanto pare, infinite risorse per tornare vincitore dalla caccia quotidiana.

È imbattibile. Contro Mick si può solo perdere. Non c’è scampo alcuno.

E se Mick ti lascia vivo è per una buona ragione.

Alimentare la sua leggenda.

 

locandina

Wolf Creek 2 - La preda sei tu (2013): locandina

 

Wolf Creek è un titolo di culto nel cinema horror del nuovo millennio.

Il riferimento principale non è un mistero per nessuno, la creatura di Greg McLean deve tutto all’imprescindibile The Texas Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta) di Tobe Hooper:

nel libero ispirarsi a storie vere,

nel caldo afoso e soffocante che ti si appiccica addosso,

nella messa in scena iperrealista, malsana e disturbante come lo era certo cinema a basso budget che negli anni ’70 ha reso immortali parecchie pellicole ‘estreme’ e suoi autori, ancora oggi motivo di emulazione da parte di giovani registi audaci e politicamente poco corretti,

nella lucida follia dei suoi aguzzini, emarginati e solitari giustizieri fai da te, che fanno della ferocia una questione territoriale, di rivalsa socio-identitaria, un modo affinché il presente non faccia allegramente tabula rasa del passato,

nella carneficina perpetrata, esplicitamente suggerita o addirittura spiattellata davanti agli occhi (qui, come nel primo capitolo, gli effetti visivi sono gustosamente efficaci e di buonissima fattura) in tempo reale (splat-pack) senza autocensure.

In Wolf Creek 2, il ‘parente giovane’ Mick Taylor e il suo lurido mattatoio costellato di trappole e trabocchetti da fare accapponare la pelle (se te ne resta ancora addosso) è una presenza indispensabile, necessaria per la salvaguardia di un terra vergine che intende restare tale.

Per come si muove, agisce, vince sempre sulla sua preda e la fa sempre franca, Mick -l’onnisciente e l’onnipresente- sembra quasi un’entità astratta, uno spirito maligno o una sorta di divinità pagana che attraverso il sacrificio -sanguinario- di stranieri garantisce alla comunità locale l’immunità dalla corruzione del mondo.

È parte integrante dell’entroterra australiano, è la sua incarnazione, un mezzo, se vogliamo, di cui si serve la Natura per sopravvivere al febbrile desiderio di conquista e dominio da parte dell’uomo.

Per fronteggiare la sua insaziabile sete pionieristica.

Violento, a tratti insostenibile, il film non si distacca strutturalmente dalle pellicole del genere, e nemmeno dal primo capitolo, anche se delle differenze emergono evidenti.

Il rifugio o, meglio, le sue viscere, dove Mick fa scomparire il sostanzioso bottino di carne ed ossa umane lo scorgiamo solo sul finale, volutamente sopra le righe insieme allo stesso killer, fortemente caratterizzato, molto più loquace e assai incline all’ironia rispetto a come lo avevamo lasciato, e così sovraesposto da perdere in fascino, pur mantenendo un contegno tale da renderlo ancora credibile, evitando scivoloni nel ridicolo o nel comico involontario.

Il gioco/tortura psicologica a cui è sottoposta la vittima di turno non è che lo specchio delle reali intenzioni alla base di un film di per sé non proprio originale (qui e là spuntano ‘omaggi’ agli horror del passato remoto e recente) e non sempre soddisfacentemente brillante.

Nel suo inesorabile claustrofobico incedere, Wolf Creek 2 cresce, per sdoganarsi, infine, dal prodotto horror di (alta) qualità fine a se stesso ed esplorare i territori della riflessione sul nostro contemporaneo.

S’interroga sul significato di omologazione, civiltà e civilizzazione.

Mick è metafora dell’oggi, il frutto avariato della paura irrazionale e distruttiva di cosa e di chi non si conosce.

È il babau dell’invasione straniera nelle nostre terre patrie.

Ma anche l’espressione di quanto possano essere devastanti le convivenze forzate.

È l’istinto di conservazione che ogni essere vivente, uomo compreso, possiede.

In fondo, quante volte vorremmo essere dei Mick Taylor, impugnare il suo coltellaccio affilato o quel fucile con mirino ad alta precisione e ‘spolpare’ vivo chi non ci aggrada?

 

 

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