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Locke

Regia di Steven Knight vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Locke

di ed wood
8 stelle

A dispetto delle premesse, non si tratta solo di un eccellente esercizio di stile, ma anche di un intenso racconto morale. “Locke” è un mono-thriller dalla suspense infallibile, che si regge su di un complesso di ingranaggi espressivi tutti perfettamente funzionanti: un solo strepitoso interprete (Tom Hardy); una fotografia traslucida che abbina sfocature, riflessi e sovraimpressioni, creando giochi ottici mai fini a se stessi, ma significanti la “permeabilità” della coscienza di Locke, il suo mondo che gli si rivolta contro (per causa sua); un montaggio che riproduce anch’esso i dilemmi repressi del nostro eroe, scomponendo l’abitacolo della sua automobile e alternandolo a panoramiche aeree della superstrada (tagliando fuori, di fatto, le soggettive: nella testa di Locke, c’è tutto fuorchè la strada); un sonoro dominato dalle voci off dei personaggi contattati al telefono; una sceneggiatura di ferro, che circoscrive il dramma a questioni inerenti famiglia, lavoro, coscienza.

 

Il ritmo non cala mai, così come l’interesse dello spettatore. Quello che limita la portata di questa esemplare e folle storia di riscatto morale è semmai una certa programmaticità negli intenti, una certa studiata tempistica che alterna meccanicamente le telefonate di Locke a moglie/figlio, capo/collega, amante/infermiera ai suoi sguardi verso lo specchietto retrovisore, nei quali se la prende col padre irresponsabile che lo abbandonò da piccolo. Una certa retorica guasta quindi quello che avrebbe potuto essere un racconto asciutto e laconico: nel finale, Locke declama apertamente “Due ore fa avevo una famiglia e un lavoro: ora non ho più nulla”. Non si sentiva certo il bisogno di questa sottolineatura.

 

Eppure la forma stessa del film (e la sua idea forte di partenza) suggerisce letture svariate di tipo metaforico. E così “Locke” può essere letto come una deterministica dimostrazione di come ci si possa rovinare la vita con poche parole: “sono stato con un’altra una sola notte”; “domani non verrò al lavoro”. Un trattatello sulla banalità della pazzia, sulla gratuità del gesto iconoclasta: cosa avrà ottenuto Locke in cambio di famiglia e lavoro, i due totem della società borghese? La coscienza a posto e una colpa non sua (ma del padre) che finalmente verrà lavata: ma ne sarà valsa davvero la pena? Oppure, su un piano più teorico, “Locke” è l’allegoria della condizione dell’uomo nell’era della comunicazione incessante: solo con se stesso, ma perennemente connesso da un network di relazioni da fare e disfare, a proprio piacimento.

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