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Miss Violence

Regia di Alexandros Avranas vedi scheda film

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La recensione su Miss Violence

di maurizio73
7 stelle

Un padre, tre figlie, due nipoti e una moglie. Il giorno del suo 11° compleanno la figlia più piccola si suicida gettandosi dal balcone di casa. I servizi sociali indagano tra le mille reticenze di una famiglia che sembra chiusa in se stessa e con un padre padrone che dietro l'apparente normalità borghese, mantiene sotto il proprio giogo le fragili psicologie femminili che sembrano obbedirgli con rassegnata condiscendenza.
Partendo da un titolo che evoca le truci perversioni dell'hard boiled orientale alla Park Chan-wook e da un incipit che oscilla tra il gelido distacco del dramma sociale nord europeo di Haneke e il microcosmo grottesco e surreale di Kaurismäki, il greco Alexandros Avranas sembra piuttosto assecondare le inquietudini del connazionale Lanthimos (Kynodontas - 2009) nell'agghiacciante resoconto di una degenerazione dei rapporti familiari dove alla tirannide patriarcale si contrappone l'omertosa complicità di una figura materna che , al pari delle sue vittime, si dimostra succube e schiava di una inconfessabile violenza domestica e che dietro l'ordine apparente di una consuetudine borghese nasconde una realtà atroce di sfruttamento e di prevaricazione. Sullo sfondo appena percepito di una società greca precipitata nella crisi economica e sociale e in balia di quelle forze centrifughe che sovvertono un sistema di valori scardinato dalle banali necessità alimentari (il cibo, i vestiti) e soggetto solo ai burocratici controlli di uno stato sociale distante e superficiale, l'autore riesce a mantenere nella prima parte un impeccabile rigore formale nel suggerire gli inquietanti risvolti di un dramma familiare che si consuma nel chiuso di una prigionia domestica dove nulla è quello che sembra e dove gesti e parole sembrano raggelarsi al di sotto di uno zero termico che rende invisibili all'occhio umano le loro pur impercettibili vibrazioni, insinuando così tra le pieghe del non detto e la mimica del linguaggio non verbale ciò che rende scoperto nella parte finale del film, dove invece tutto si fa più esplicito e brutale (la prostituzione delle figlie, la paternità dei nipoti, l'orrore dell'abuso pedofilo, il laido mercato di un approvvigionamento economico). Pur cedendo alla tentazione didascalica di questa escalation conclusiva di brutalità e di sangue, Avranas riesce a mantenere l'invidiabile coerenza di un registro drammatico trattenuto e interdetto, addentrandosi nel perimetro claustrofobico di un antro domestico dove si aggira, sotto le mentite spoglie di un buon padre borghese, la maschera grottesca e beffarda di uno spietato Minotauro dei nostri tempi. Segno di un codice di comportamento in cui l'ambiente familiare rappresenta l'inizio e la fine di un mondo di relazioni e di sentimenti, causa ed effetto di una disfunzionalità sociale da cui origina l'orrore, la fine dell'incubo è essa stessa fagocitata nel vuoto pneumatico di una porta chiusa e forse ambiguamente principio di un nuovo imperio domestico. Nel sottotesto musicale di L.Cohen ('Dance Me to the End of Love') lo straniante relativismo etico che richiama alla mente le sinuose suggestioni e le traumatiche esperienze familiari già viste in 'Exotica' di A.Egoyan ('Everybody Knows'). Leone d'Argento per la miglior regia alla 70ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.

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