Regia di Gianfranco Rosi vedi scheda film
C’è più di qualcosa di sbagliato in Sacro GRA di Gianfranco Rosi, a cominciar già dal titolo stesso che lasciava presagire un documentario in cui protagonista era il Grande Raccordo Anulare e l’umanità che lo circonda. Con profonda perplessità in merito all’operazione e con più di qualche sparuto fischio in sala, bisogna avvisare lo spettatore che in realtà il GRA è solo un protesto per imbastire diverse storie – alcune interessanti, altre meno – e lasciare l’ambientazione sullo sfondo a fare da ideale raccordo, se mi scusate il gioco di parole.
L’operazione di Rosi appare alquanto stramba nella sua concezione: come si può chiamare un’opera Sacro GRA e poi rendere quasi un’entità fantasma il GRA stesso? Per capirci meglio, le storie raccontate dal regista avrebbero potuto tranquillamente essere ambientate a Venezia, a Milano, a Palermo o a Imperia da quanto sono anonime e spesso anche banali. Ad esempio, chi non ha mai visto i casermoni abitati che pullulano in tutte le periferie metropolitane o le case che sorgono a due passi dagli aeroporti?
Altro punto di demerito, non l’ultimo, è quello di aver fatto credere per mesi che Sacro GRA fosse un documentario frutto di riprese realistiche, come il termine stesso documentario suggerisce. In realtà, si è di fronte a un prodotto di fiction concepito male e recitato anche peggio, che ha anche il limite di non avere né un suo filo logico né nessun approfondimento sui personaggi. A che serva un prodotto del genere francamente non si capisce: la bellezza del GRA e del suo anello soccombe alle pretese di una macchina da presa che, muovendosi tra catastrofi urbanistiche e situazioni talvolta (spesso) da macchietta, finisce con il rendersi ridondante e pesante da digerire.
Che Rosi sia poi bravo a girare è un altro paio di maniche: anche il fotografo sotto casa mia realizza ottimi filmini amatoriali ma non osa mandarli a un Festival.
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