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Violette

Regia di Martin Provost vedi scheda film

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La recensione su Violette

di logos
6 stelle

Finalmente con questo film viene messa in luce la figura della scrittrice Violette Leduc, figlia illegittima di una cameriera per via di un uomo che non l’ha mai riconosciuta, in altre parole una Bastarda, il titolo del suo libro più famoso, con cui il film chiude il percorso di formazione di Violette, come donna e come scrittrice.

 

La sceneggiatura e la regia si concentrano molto  sulla figura di Violette, su come sia assolutamente incapace di distinguere la propria esistenza dalla propria scrittura, e come dolorosamente deve passare attraverso questa distinzione per cercare se stessa sia come donna e come scrittrice. In questo percorso di formazione diventano decisivo l’incontro iniziale con Maurice Sachs ma soprattutto con Simone De Beauvoir.

 

Poca chiarezza viene fatta sulla figura di Sachs, che nel film appare quasi come un intellettuale partigiano mentre in realtà si sta barcamenando nel suo gioco collaborazionista, e per di più in modo non soddisfacente per i suoi continui errori, al punto che verrà arrestato dalla stessa Gestapo nel ‘43 e freddato nel ’45.

 

Ben più puntuale invece è la ricostruzione del rapporto tra Violette e Simon de Beauvoir. Un rapporto che riproduce in tutto e per tutto il bisogno di amore della donna Violette, che non sopporta di essere abbandonata, tutelata, confezionata nella scrittura a danno della sua stessa esistenza. Un conflitto insanabile, eppure così produttivo per la scrittura medesima: tutte cose che la Simon vive sulla propria pelle, avendo imparato dal suo Sartre che non si può essere ad un tempo in sé e per sé. Solo la scrittura può apparentemente sanare questo nulla che si insinua tra il per sé e l’in sé, perché solo attraverso la scrittura si può dire la propria verità viscerale, quella verità che Violette sa vivere e poi scrivere, a costo anche di perdere l’equilibrio tra i due piani di realtà, quello della vita e quello della scrittura, quello dell’esistenza e della sua filosofia.

 

 Il film, concentrando i suoi sforzi quasi esclusivamente sulla figura di Violette, finisce per svilirla, perché viene quasi deprivata del suo contesto, quasi come se da parte della regia vi sia il timore di non rendere abbastanza efficace, attraverso le immagini del cinema, tutto il travaglio che attraversa la donna nel suo essere scrittrice. E così vediamo spesso Violette nella sua solitudine, con le sue carte e la sua penna, che scorre in flash back la sua esistenza. Un’operazione che da un lato consente di slacciare un po’ le cinture di sicurezza a sequenze altrimenti ben irrigidite, e dall’altro è un modo per rendere presente agli occhi dello spettatore lo stile stesso della scrittura di Violette Leduc. Ma è un’operazione che comporta un costo eccessivo, perché toglie il respiro all’esistenza di Violette, che come tale è intessuta di trame, di contesti, di relazioni, per quanto possano essere minimali.

 

Comunque sia,  Emmanuelle Devos e  Sandrine Kiberlain sono davvero magnifiche nei ruoli rispettivi di Violette e di Simon: la prima tutta avviluppata nel suo generoso conflitto esistenziale tra omosessualità e eterosessualità, giovinezza e invecchiamento, natura e città, manualità e riflessione, amore e odio per la madre; la seconda, invece, tutta chiusa nel suo alto profilo intellettuale, ma assai consapevole di quanto sia essenziale la lotta interiore di Violette, perché in fondo è anche la sua stessa lotta , lotta che diventa più dura proprio quando, a proposito di Simon De Beauvoir, si è già fatti un bel nome nel mondo della cultura. Ed è questo successo ad essere il nemico più ostinato da abbattere, nell’ambio del quale gli uomini, nella loro invisibile meschinità dissimulata da alte riflessioni sulla condizione umana e da beghe editoriali, tramano il colpo decisivo contro il secondo sesso. Su questi punti il film poteva dare molto di più, a mio modesto avviso; ma la strada l’ha imboccata correttamene, non senza qualche sbandamento irrigidito lungo il percorso.

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