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Ida

Regia di Pawel Pawlikowski vedi scheda film

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La recensione su Ida

di laulilla
8 stelle

La memoria disperata di un passato che non può tornare e il grigiore di una realtà, fra uomini e donne incapaci di rimorso, di rispetto, di prospettive ideali.

Anna (Agata Trzebuchowska) è poco più di una bambina e non conosce il mondo se non attraverso l’eco degli eventi esterni che le arriva in convento: abbandonata in tenerissima età alla compassione delle monache, infatti, lì era stata protetta, allevata e accudita e anche battezzata. Ora vorrebbe farsi suora e porta un corto velo nell’attesa dei voti.

È molto giovane, tuttavia, e perciò la madre superiora (Halina Skoczynska) la spinge a dare un’occhiata alla vita esterna, prima di decisioni che l’avrebbero impegnata per sempre: aveva rintracciato una zia che – seppure riluttante – era sembrata disposta a ospitarla, ciò che la rendeva ferma nel proposito di allontanarla per un po’.

 

La realtà in cui, dunque, Anna si sarebbe mossa era quella della Polonia degli anni ’60, che portava ancora le vistose ferite della guerra nei luoghi, nelle case e soprattutto nel cuore di molti sopravvissuti, alcuni dei quali avevano partecipato alla resistenza polacca contro i nazisti, come Wanda Gruz (Agata Kulesza), la zia ebrea colta, emancipata e intelligente, ora magistrato, unica superstite di una famiglia perseguitata e distrutta.

 

Anna, che la famiglia aveva chiamato Ida, era stata affidata alle suore per ragioni misteriose, che ora con la zia Wanda sembrava voler chiarire, intraprendendo un viaggio, che stava diventando a poco a poco, per entrambe, sia pure in modo diverso, un percorso di formazione, attraversato da tensioni emotive quasi insostenibili.

 

Le dolorose scoperte lungo le dissestate strade polacche, nel grigiore del paesaggio, fra poveri casolari ancora diroccati e agghiaccianti rivelazioni, sviluppavano nei loro cuori sentimenti contraddittori, che in Wanda provocavano un crescendo di comportamenti distruttivi dall’abuso di alcool, di fumo alle avventure sessuali senza gioia e senza seguito, ciò che accentuava in lei il senso di vuoto e la frustrazione per l’enorme scarto fra gli ideali, che avevano animato la sua lotta partigiana in anni ancor molto vicini, e la realtà squallida del presente, nel quale era sempre più difficile realizzare la libertà e la giustizia per le quali si era battuta.
Il viaggio le mostrava crudamente anche la realtà dell’azzeramento della sua cultura originaria: immagini terribili, come quelle del cimitero ebraico di Lublino - luogo di approdo del viaggio, dove avrebbero trovato infine riposo i resti dei genitori di Ida ferocemente massacrati, fra tombe e lapidi assediate e quasi ricoperte dalle erbacce, in completo abbandono - testimoniavano un passato non più ricuperabile e un presente senza memoria, intento a celebrare la vittoria sui nazisti, ma non disposto a riconoscere il prezzo che gli ebrei avevano sopportato per la ferocia non solo dei nazisti, ma anche di molti polacchi che si erano adoperati alacremente per espellerli dalle loro case e impadronirsi dei loro beni.

 

Preghiera e perdono parevano a Ida il modo giusto per superare quell’angoscia terribile, ma solo il drammatico sviluppo della storia di Wanda sarebbe stato decisivo per orientare le sue scelte future, assai più dell’incontro amoroso con un giovane sassofonista, che aveva suscitato in lei una nuova consapevolezza….

 

 

 

 

Non aggiungo alcunché  sui problematici sviluppi della vicenda, per non togliere, a colpi di spoiler, il piacere della visione di un film che è da conoscere.

Girato in un raffinatissimo bianco e nero, che ben sottolinea il grigiore diffuso e lo squallore di quella regione dell’Europa nord-orientale, a pochi anni dalla fine del conflitto mondiale, in pieno stalinismo, il film si avvale di una fotografia suggestiva e dell’eccelsa recitazione delle due attrici protagoniste, in modo particolare di Agata Kulesza, nel difficile ruolo di Wanda, la più complessa fra le due figure femminili.

 

Ottima la direzione del regista Pawel Pawlikowski, giovane con pochissimi film alle spalle, che attraverso un raffinato lavoro di sottrazione  riesce a far emergere icasticamente, nel suo minimalismo, le ansie e le contraddizioni delle due donne i cui ritratti appaiono di rara acutezza, all’interno di bel un racconto di soli 80 minuti.

Il film si è aggiudicato, alla fine del 2014, i premi degli European Film Awards: miglior film; miglior regia, la migliore sceneggiatura, la miglior fotografia e, infine, il premio del pubbico.

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