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Ida

Regia di Pawel Pawlikowski vedi scheda film

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La recensione su Ida

di lorenzodg
8 stelle

Ida” (id., 2013) è il decimo lungometraggio del regista polacco Pawel Pawlikowski.
    In un bianco e nero teso, statuario, sottratto, mesto e tremante con schermo ridotto a quadrato (in una gioia visiva quasi dimenticata) lo stile documentaristico e l’asciutezza del linguaggio, il film schiude lo sguardo avvizzito e fabulante contorcendo in animo il senso neuronico di una storia di stenti, di politica, di mestizia e di rapporti contrapposti.
    Il gioco ligneo e tedioso di una nazione ancora in vitreo che  non riesce a togliersi di dosso forme politiche ancora da oltrepassare e comandi disgiunti di un’epoca tutta in corso che sì aspetta altre notizie ma che come spirale contorta s’annoda e s’attorciglia sull’ideologia primaria e di ponderata sollecitazione nessuno ha voglia di scandirne la fine e di scomodare sentori di umane vite. Quelle di contrapposizioni che s’ergono nel popolo rinchiuso ma che arriva flebile nel ‘cuore raffreddato’ di una Polonia ingrigita, fantasma e traumatizzata. Il livore della storia non s’arrende ma il destino che sembra a due passi ha bisogno di silenzi immondi e di incontri scontrosi, di medici d’animo e di corpi incapaci. E’ uno sguardo secco e arcigno, timoroso e ancestrale quello del regista su un mondo ristretto, nascosto e pieno di bugie.
    Siamo nel 1962 e la storia si snoda in una Polonia smorta e scandita dalla politica del regime. Una giovane donna novizia è in attesa di diventare suora e dal convento (dove è vissuta da piccola) viene mandata dalla Madre Superiora a Varsavia per incontrare la zia Wanda (parente a lei sconosciuta). L’ambiente che trova è di contrasto a quello che lei non ha mai visto: una donna alcolizzata che frequenta uomini e con verità nascoste dall’infanzia. La zia parla a Anna (Ida) della sua famiglia, delle origini ebree, del suo vero nome, della morte dei suoi genitori e di circostanze misteriose sulla scomparsa dei suoi famigliari. Un buio dentro il ventre di una nazione sfatta dove il regime fa schiumare rabbia a molti e di riflesso alla zia che resta svuotata di ogni mera considerazione di un’illusione svanita da tempo e sente nel suo corpo ‘disfatto’ la frustrazione’ di sogni irrealizzati e la fuga da un mondo cosparso di cenere e morte.
    La morte è quella che respira Wanda in un’estasi di musica ad alto volume come è il corpo quello che s’avvede di avere Ida quando un ragazzo ‘amante’ di musica jazz e sassofonista gli dice quasi sussurrando: “Tu non lo sai che effetto che fai vero?”.  L’interesse di ciò che sei e una passione repressa che si dimena nelle braccia del musicista appassionato di John Coltrane (una ribellione scavata nel volto lineare e negli occhi fugaci di un giovane che dimora ogni sua ansia nel volto cadente e gentile della novizia in attesa). La vita di Ida fatta di privazioni e di minime cose è indirizzo complementare a quella di Wanda che chiosa ogni suo desiderio in una vita ardente, cocciuta e di felicità immediata. Il destino si tocca nel buio (Wanda) disincanto di una vita ancora da toccare (Ida).
    E’ il film delle contrappoisizioni perdenti dove si cerca qualcosa (in qualcuno) e il colpevole di un disastro connaturato ad un popolo. Ci sono solo perdenti e sconfitti ma giammai c’è da aspettare amaramente quello che arriva (dalla finestra). L’assoluzione di ogni persona è (s)finita per i disastri di una politica e per le vite da rigenerare (dopo ogni amara scoperta).
    Ciò che impressiona è lo stile in raffronto duro ed emblematico. Pieno di linfe grezze e con ardori mai risanati. Ogni ferrmo immagine (quadri incorniciati dallo schermo nero) e corpi che si muovono in esso come fantasmi spaventati. E poi il silenzio di terra e delle voci inermi fanno da contraltare vibranti (e brevi) pezzi musicali (jazzati) che scompigliano ogni discorso quiete e remissivo. Ed ecco che il duo donne Wanda.Ida si schiudono in un contrasto furente e vitale: l’una sbollita nei modi e l’altra imbottita nei vesti, smossa e fumosa, discreta e impressa. Ogni destino nella bocca di cui dice (un fiore senza petali).
    Un film toccante e sentito, attento e privo di contaminazioni (futili e facili). Una sottrazione di elementi, di contorsioni e di movimenti di macchini. Solo l’ultimo piano immagine ne concede un unicum. Ida che s’allontana e la camera che viene con lei (e se il tutto si fosse fermato in un foto in movimento attorno…).
   Le prove di Agata Kuleza (Wanda) e di Agata Trzebuchowska (Anna.Ida) si integrano in modo presiso e sincero. Mai un attimo di banalizzazione: tutto compito, cadente e soffusamente delicato. Di levatura encomiabiale la fotografia: di grande effetto narrativo la sua postura rispetto al movimento degli oggetti e dei corpi. La regia di Pawel Pawlikowski appare congrua e di forte intensità.
    Voto: 8.
 
 
 
 

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