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Posh

Regia di Lone Scherfig vedi scheda film

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La recensione su Posh

di champagne1
7 stelle

"non siete diversi da una banda di ragazzini che sfascia le vetrine dei negozi!"

Ad Oxford va a studiare la creme de la creme della nobiltà inglese: quella nobiltà moderna, si intende, composta non tanto da titoli nobiliari, ma da capitani d'industria o della finanza con solidi conti bancari.

I rampolli di quelle famiglie, democraticamente mescolati a rari figli della media borghesia con ottime capacità intellettuali e qualche borsa di studio per pagare l'oneroso sostentamento, sogliono riunirsi in club tanto prestigiosi quanto esclusivi, spesso secondo una tradizione dinastica-familiare a testimoniare la loro origine elitaria.

Il Riot Club, fondato nel 1776, raccoglie studenti che nel tempo sono diventati personalità della vita pubblica, economica e politica del Paese.

All'epoca delle vicende narrate nel film siamo di fronte a dieci diversi giovani, otto veterani e due neofiti appena ammessi, che vanno a svolgere una cena privata in un ristorante, dove rapidamente la situazione degenera fino ad un tragico epilogo...

Scordiamoci i "Dead Poets" de L'Attimo Fuggente: laddove in quello il Carpe Diem era un inno a vivere la vita nella esaltazione delle proprie capacità positive, magari ancora da scoprire, soprattutto nel campo del talento artistico e poetico, qui lo stesso Carpe Diem diventa il grido di battaglia di chi reclama i tributi dello stato sociale a cui appartiene, con la protervia di chi sente di esserne degno per diritto di nascita. Dove nel primo i ragazzi lottavano per scegliere un possibile destino alternativo a quello che le proprie famiglie avevano per loro ipotizzato, in Posh i ragazzi vogliono "esattamente" quello che le loro ricche famiglie hanno progettato, ma lo vogliono da subito: in fondo  quella posizione e quel rispetto si possono ottenere senza neanche scomodarsi di meritarseli, con la convinzione che con il danaro si possa comprare tutto. Anche la dignità e l'integrità degli altri, presumendo che gli altri, gli inferiori, farebbero esattamente quello che sono capaci di fare loro se ne avessero la possibilità; anzi che in realtà che essi li invidino per questa loro libertà - per così dire -  rivoluzionaria.

In quest'ottica, appare assolutamente congruo che una seratina sociale si trasformi progressivamente in un'espressione di ottusa ferocia, con l'idea di divertirsi umiliando il prossimo, tanto i danni si pagano con la carta di credito (credito verosimilmente illimitato).

Lo spettatore ingoia a fatica le cattiverie mostrate e fa davvero uno sforzo enorme a percepire una qualunque empatia nei confronti dei protagonisti. E questo, come sempre accade, vuol dire sia che ci sono testi di grande spessore (peraltro si tratta della trasposizione di una piece teatrale omonima di Laura Wade, che ha anche collaborato alla sceneggiatura), ma anche che gli attori sono davvero bravi e convincenti.

Unico neo a carico della Regista quello di voler costruire una storia tradizionale, simile a quella delle pellicole di genere già note, quando forse la forza della storia è tutta nella serata della cena, che infatti è l'unica scena esistente nel lavoro teatrale.

 

 

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