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Big Eyes

Regia di Tim Burton vedi scheda film

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La recensione su Big Eyes

di alan smithee
6 stelle

locandina

Big Eyes (2014): locandina

 

L'anno civile e cinematografico inizia con tre film autobiografici importanti, o di registi importanti, o con attori in odore di Oscar. Assieme all'Eastwood che segue il cecchino, assieme al grande attore che cerca la consacrazione meritata col film strizza Oscar The imitation game, l'ideale quanto casuale trilogia dei biopic del primo dell'anno si conclude col gran regista Tim Burton, impegnato a divenire finalmente un po' più adulto, senza tuttavia rinunciare al suo stile, alle sue atmosfere, ai suoi colori, e ad una certa predilezione per le tinte forti, quasi sanguigne che in un certo modo traspaiono pure in questo Big eyes. La vita assieme, la sottomissione dell'uno sull'altra, la lotta per ritrovare la “paternità” del proprio tratto o stile, se così si può chiamare, sono raccontate da Burton immergendoci negli inebrianti anni '50 del benessere post conflitto di un'America del popolo che trova finalmente il tempo e la possibilità di dedicarsi al superfluo, interessandosi a tendenze e fenomeni di massa a cui in altri tempi non aveva tempo e modo di occuparsi.

Amy Adams, Christoph Waltz

Big Eyes (2014): Amy Adams, Christoph Waltz

Ecco dunque che l'incontro fortuito di una donna in fuga da un matrimonio sfortunato, diventa per la ancora giovane pittrice Margaret l'occasione per trovare nel (presunto) collega Walter Keane, l'ultima occasione per rifarsi una vita rimanendo legata alla propria passione e al proprio talento.

Tuttavia l'uomo, che di pittura non sa nulla, né tantomeno possiede alcun talento o passato da artista, ma del modo come sapersi proporre commercialmente al pubblico è un maestro ante-litteram delle più efficaci tecniche del moderno marketing, soggioga a tal punto la donna da indurla a cedere la propria titolarità d'autrice allo scaltro individuo, che riesce a portare lo stile bizzarro e kitch degli inquietanti orfanelli dagli occhi enormi e tristi, ad una vera e propria moda contagiosa, trasformando dei puerili dipinti quasi inquietanti in un'unica icona inevitabile ed essenziale, che sfocia in una vera moda irrinunciabile, e dunque in un fenomeno di massa.

Christoph Waltz, Amy Adams

Big Eyes (2014): Christoph Waltz, Amy Adams

“Pazzesco! Quell'uomo riesce a vendere tutti i suoi quadri a prezzi da capogiro, poi i poster dei propri quadri, poi le cartoline dei poster dei propri quadri” dice tra i denti un invidioso artista mentre osserva l'assalto del pubblico ad accaparrarsi poster e gadgets.

Ricchi, ricchissimi in pochi anni, sempre più arrivista ed astuto lui, sempre più soggiogata e chiusa in se stessa lei, che prova pure a rinunciare al suo stile, ai suoi visi inquietanti, per riproporsi come pittrice anche scopiazzando lo stile di Modigliani, pur di trovare una indipendenza artistica e una rivendicazione caratteriale, che permetta altresì alla donna almeno di non mentire più alla figlia.

Una epopea che ricalca un fatto di cronaca ed uno scandalo che fece scalpore tra i '50 e i '60, che vide tuttavia trionfare la verità e riappropriarsi della propria identità da parte della indifesa e psicologicamente devastata protagonista.

Amy Adams, Christoph Waltz

Big Eyes (2014): Amy Adams, Christoph Waltz

Burton punta tutto sui due grandi attori coinvolti, Christopher Waltz, spesso impegnato in parti sadicamente ed ironicamente mefistofeliche che rasentano la perfezione, circostanza che lo rende un habitué degli Oscar, risulta qui manierato e caricaturale fino alla stucchevolezza, alla parodia più inverosimile; di diverso avviso ritengo la prova di Amy Adams. Forse almeno vagamente zuccherosa, ma convincente e in parte come lo sarebbe potuta essere solo Emily Watson, per rendere la fragilità di una personalità completamente soggiogata e succube di un carattere dominante e cinico.

Margaret Keane, Amy Adams

Big Eyes (2014): Margaret Keane, Amy Adams

Quello che non va proprio nel film, è insistenza con cui Burton si accanisce per fare di Big Eyes il suo film, imprigionando la pellicola dentro uno stile sovraccarico e colorato che se da un lato rende plausibile e giustificabile l'ambiente formativo di una pittrice anche un po' puerilmente limitata, ma di sicura presa con le sue ammiccanti espressività degli orfanelli dipinti suo malgrado in rassegna come in una catena di montaggio, dall'altro ne svilisce anche un po' la necessaria complessità drammaturgica che sarebbe stata plausibile in luogo di tanta o troppa gigioneria da farsa, in fin dei conti svilente e lesiva per tenere saldo il mordente di un dramma che non appare mai tale.

Terence Stamp, Christoph Waltz

Big Eyes (2014): Terence Stamp, Christoph Waltz

E se il film infatti sembra ad un certo punto imboccare una interessante svolta thriller, quando l'esasperazione della donna la spinge a rivendicare il proprio ruolo e a ricattare il subdolo consorte, il piglio vigoroso ella vicenda si spegne all'improvviso con la fuga improvvisa della donna e lo spostamento repentino della vicenda all'anno successivo, nell'arcipelago delle Haway, rifugio paradisiaco della pittrice, per poi finire impastoiato molto presto in un processo finale-farsa che probabilmente documenta alla lunga fatti veri, trasformandoli tuttavia od impoverendoli ad un mero capriccio di rivendicazione, piuttosto che nella fiera presa di posizione di una donna per la salvaguardia della verità; sia essa inerente uno stile artistico, o solo una semplice, puerile moda passeggera divenuta arte per tendenziosità e scaltrezza, per brama di facili guadagni e calcolo commerciale bieco ed astuto. E il siparietto della autodifesa da parte di Keane-avvocato di se stesso che gigioneggia a più non posso, diventa sin fastidioso e petulante.

Jason Schwartzman

Big Eyes (2014): Jason Schwartzman

Se il film voleva ridursi a tratteggiare la figura un po' monocorde di un rettile infido e debordante succhiatore di linfa vitale, personalità e carattere, manierato e maligno come un Joker-nemico-di-Batman, forse Burton, che ben conosce la materia, ci è riuscito; se l'intento era quello di raccontare la complessità di una mente soggiogata e plagiata, il film svia eccessivamente dal suo epicentro, troppo impegnato a garantirsi quel minimo di scenografia necessaria per mantenere alto e ridondante uno stile che ci piacerebbe trovare per una volta meno vistoso e rutilante, ma più adulto e concreto. La canzone “Big eyes” cantata da Lana del Rey è gradevole e pertinente, così come azzeccata e magnetica è la prova-cameo del grande Terence Stamp, impegnato a rendere con la consueta classe un energico e poco corruttibile critico d'arte col dente avvelenato.

 

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