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Transformers 4 - L'era dell'estinzione

Regia di Michael Bay vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su Transformers 4 - L'era dell'estinzione

di M Valdemar
1 stelle

 

locandina

Transformers 4 - L'era dell'estinzione (2014): locandina




L'era dell'estinzione per Michael Bay è ben lontana dal palesarsi, purtroppo. Ma quello, indefesso timoniere di una corazzata sempre più (pre)potente e gonfia di nuovi alleati (vedasi tutta la corposa parte finale ambientata in Cina), è una certezza assoluta. Una garanzia per gli incassi, una sciagura per la "qualità".
La verità, chiara e accecante come la luce del sole, è che il quarto episodio della saga robottara è una immonda porcheria. Fetida, sfiancante, letale; e ben peggiore, sia di quanto ci si aspettasse (se lo conosci lo eviti eppure vai a guardarlo perché ti piace farti del male o perché sei sotto ricatto) sia delle puntate precedenti.
Perso per strada ogni piccolo residuo di (più o meno) inconscio piacere perverso che le "incredibili" avventure dello sfigato Sam Witwicky sapevano provocavare (pur scemando progressivamente dall'esordio al terzo capitolo), il buon Bay "rebootizza" l'intero cast (anche perché ormai il bravo ragazzo Shia LaBeouf non è più tanto "presentabile") e vira - stolido, fiero, incurante degli effetti elefantiaci della sua "delicatezza" di tocco - verso una sorta di deriva familistico-sentimentale agghiacciante.
Ne abbiamo viste di cose, noi umani spettatori, ma tante sciocchezze messe lì tutte assieme, no. Personaggi ridicoli in contesti ridicoli e in situazioni assurde oltre il lecito consentito, penosi siparietti (in particolare padre-figlia-boyfriend: è uno scherzo?!) che nemmeno cinquanta anni fa avrebbero retto, gente che va gente che viene gente che non c'entra però c'è, e gente che non si capisce che ci fa in tal posto o in talaltra posizione: tratti distintivi di una sceneggiatura da reato penale che frulla cotanto côté buonista nell'ennesimo banale intruglio di lotte tra transformers buoni e cattivi e ancora più cattivi con i primi che immancabilmente guingeranno a salvare la Terra per l'ennesima volta (e una volta per tutte: Optimus Prime è di un'antipatia più unica che rara. Aliena, indubbiamente).
Persino l'ironia, che in precedenza comunque si manifestava puntualmente, è merce pressoché svanita, sciolta nel nulla cosmico di un fracasso già indigesto di suo. E la sensazione, netta, è che non sia una scelta voluta (nonostante spuntino orme di un certo percorso destrorso) bensì frutto di mera incapacità. Diversi sono i tentativi (patetici) di far scattare il risolino d'ordinanza, emblematico il discorso di Stanley Tucci in ascensore sull'assurdità della situazione: pensato come una specie di scherzoso "momento verità" è in realtà una mesta scenetta.
A non esser affatto mesto è lo "spettacolo" messo su dal megalomane regista di quel gioiello che è Pain & Gain (ok, questa è ironia), capace di omaggiarsi già in apertura (la scrittta "Bay" ben evidenziata su un veicolo tra i ghiacci) e tanto sagace (crede lui) da infilare un paio di battute sul vecchio cinema, quello che si faceva una volta (con la locandina di El Dorado che risalta tra le macerie di una sala usata come discarica).
La cifra stilistica bayiana - sappiamo bene - è quella dell'esagerazione, del tripudio di effetti speciali nella (mono)dimensione CGI, del rombare sonoro, del ritmo impazzito, dell'azione in modalità mastodontica eccetera. Ovviamente qui non può che andare oltre (vedasi pure nell'ottica dei nuovi "mostri", come gli inutili dinosauri-transformers), spingere sempre più l'acceleratore, gonfiarsi il petto e fare la ruota.
Ebbene, vista la sconcezza del copione, ma anche la durata, davvero eccessiva per quelli che sono gli avvenimenti, e di una tenuta assai frammentaria (e scarsamente dinamica, malgrado lo schizzato susseguirsi di inquadrature) che non permette mai - si ripete: mai - di incollare gli occhi allo schermo con un minimo di soddisfazione, non si può che constatare come il giocattolone di Michael Bay (& compagnia festante) risulti frastornante, sfibrante, palloso, molesto.
Ma poi alla fine ha ragione lui: tira dritto, prosegue nel suo cammino facendo il bello e il cattivo tempo, permettendosi di cambiare le figure in campo (paiono manichini in vetrina lo stopposo, stoccafisso, pericolante Mark Wahlberg, e i soprammobili belli Nicola "bambolina biondina stupidina" Peltz e Jack "anonimissimo" Reynor), e i risultati, considerevoli incassi alla mano, non cambiano.
Altro che estinzione.



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