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Salvatore Giuliano

Regia di Francesco Rosi vedi scheda film

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La recensione su Salvatore Giuliano

di Ivs
8 stelle

A partire dagli anni '90 c'è stata su piccolo e grande schermo una vera e propria invasione di film sulla mafia. Pochi però hanno colpito nel segno lasciando segni tangibili del loro passaggio. Colpa forse degli autori che – spinti da quelle che sono le esigenze del pubblico (l'identificazione del colpevole quieta le coscienze e tranquillizza gli animi) – hanno preferito focalizzare la loro attenzione su precisi obiettivi materiali: i boss, i "bravi ragazzi", le singole bande armate. Dimenticando però che la Mafia, intesa come fenomeno tout court, è qualcosa che va ben oltre. Volendo infatti tracciarne un confine approssimativo ma non banale (e il rischio è sempre dietro l’angolo quando si trattano temi cosi’ delicati) potremmo dire che Mafia è paura, omertà, obbedienza, rispetto, terrore, spirito di appartenenza. Una piovra che avvinghia i suoi tentacoli su due punti strategici di vitale importanza: il Popolo e le Istituzioni. E proprio questa collusione mafia-istituzioni e mafia-popolazione va a costituire il centro nevralgico della pellicola.
Il titolo "Salvatore Giuliano" potrebbe infatti trarre in inganno: il famoso bandito è soltanto sullo sfondo; un pretesto o meglio dire una chiave di lettura per poter affrontare un argomento così difficile e complesso. E la bravura di Rosi sta proprio in questo: imbastire una cronistoria che partendo dal secondo dopoguerra ci accompagna per quasi un ventennio nell'entroterra siciliano narrandone contraddizioni e problemi. Siamo oltre il neorealismo: sarebbe infatti più corretto parlare di realismo critico che non si limita a descrivere ma pone anche interrogativi allo spettatore, coinvolgendolo e invitandolo a riflettere su una pagina nera del nostro passato ma anche del nostro presente. La ricerca della verità che si fa quindi drammaturgia delineando con rigorosa attenzione un quadro preoccupante, brutale, a volte impietoso; tutti elementi che - e qui sta la grandezza dell'opera - conferiscono al racconto un tono da poema epico, avventuroso ed emozionante allo stesso tempo: c’è il banditore col tamburo (vero e proprio ponte tra la popolazione e le forze di polizia); la forza emotiva di una tragedia euripidea quale emerge dalla rivolta delle donne siciliane; le tracce di un feudalesimo ancora profondamente radicato e ignorato dai centri di potere; la minuziosa descrizione di un attaccamento alle tradizioni che resiste allo scorrere del tempo; un profondo sentimento di solidarietà universale prima ancora che familiare. Tutte pennellate di crudo realismo che si ricompongono armonicamente nella tela del regista andando a definire quello che è ormai considerato un classico del cinema politico e non solo. Un punto di riferimento che ha senza dubbio tracciato le coordinate di un genere, quello del film-inchiesta, che di li' a poco avrebbe riscosso notevole successo in tutto il mondo.

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