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Due giorni, una notte

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Due giorni, una notte

di laulilla
8 stelle

Una chiara e forte denuncia dei Dardenne, coerente con larga parte del loro cinema, che si apprezza ancora oggi, a distanza di dieci anni, per la sua attualità.

 

 

Sandra (Marion Cotillard) è una giovane madre che, finché la salute glielo aveva permesso, aveva lavorato insieme a sedici colleghi in una piccola fabbrica di pannelli solari in Belgio, teatro dell’intera vicenda. Quando, a seguito di una grave depressione, aveva dovuto assentarsi dal lavoro, il padrone (Olivier Gourmet) non l’aveva sostituita, ma risparmiando sui costi, aveva aumentato l’orario di lavoro dei suoi colleghi (tre ore in più a settimana, per ciascuno di loro).

Quasi la scoperta dell’acqua calda: erano arrivati gli straordinari, che, in quei momenti di grave e dilagante crisi economica, avevano fatto comodo a tutti gli operai e anche a lui.

 

Ora Sandra, guarita, avrebbe voluto tornare al suo posto, ma le leggi del Belgio non garantivano (forse è ancora così) automatismi per il reintegro dei lavoratori dopo la malattia e quel furbastro del padrone non aveva intenzione di ri-assumerla. Non aveva neppure il coraggio di dirglielo apertamente, però, e voleva affidare a un referendum fra i sedici colleghi che l’avevano sostituita la decisione per il suo eventuale e costoso rientro.

 

Se avessero votato  per il sì, avrebbero rinunciato al premio di mille Euro promesso a ciascuno di loro, eccezionale gratifica, senza alcuna relazione con gli “straordinari”, che comunque gli operai avevano già percepito.

Questo non è un particolare di poco conto, poiché determina, fin dagli inizi, del film, lo schierarsi empatico dello spettatore dalla parte di Sandra, che non chiede ciò che non le spetta, essendo stato pagato di più chi ne aveva fatto le veci, ma chiede di rinunciare a un premio, che dimostrava, fra le altre cose, che l’azienda non se la passava così male e che, perciò, le motivazioni economiche addotte dal padrone (la spietata concorrenza dei prodotti asiatici) erano pretestuose e celavano altro.

 

 

 

Il film denuncia una situazione assolutamente credibile anche oggi, in un’Europa che continua  a vantare il suo Welfare State, ma nella quale, in realtà, si sono polverizzate le organizzazioni in grado di promuovere qualche forma di solidarietà: assenti i sindacati, invecchiati i partiti della sinistra, ogni lavoratore ora è lasciato a sé e si difende come può, soprattutto puntando sulla condivisione empatica che riesce a suscitare, come la stessa Sandra avrebbe fatto quando, durante il breve Weekend che la separava dal referendum, avrebbe convinto a uno a uno i colleghi, col solo sostegno dell’amore di  Manu (Fabrizio Rongione), il marito.

 

Un risultato che induce a riflettere  sull’arretramento della condizione di ogni lavoratore, che, cessando di lottare si rende di nuovo ricattabile, privato della propria cultura solidale necessaria non solo per mantenere livelli di esistenza accettabili, ma anche per continuare a sperare nel futuro dei propri figli.

 

Il film è molto semplice e si affida quasi esclusivamente alla straordinaria interpretazione di Marion Cotillard, attenta a contenere ogni possibile eccesso di pathos grazie al minimalismo dei toni, alla controllatissima gestualità, alla capacità di dar vita a una dolente e ritrosa figura femminile, piena di delicato pudore.

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