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Moebius

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Moebius

di Kurtisonic
6 stelle

Passato e criticato a Venezia 2013, anche in sala ha avuto vita relativamente breve, come se il contenuto di Moebius si potesse liquidare frettolosamente accompagnato da un interesse calante per un autore controverso e controcorrente come Kim Ki duk. Presa come opera a sé stante, Moebius può apparire assai discutibile e ciò rappresenta il suo limite. In realtà il film deve ricontestualizzarsi nel percorso interiore del regista che ormai si può tranquillamente definire suddiviso in almeno tre fasi principali. Nei suoi primi lavori emerge il lato primitivo e più spontaneo, di ricerca di rottura degli schemi di un autore bohemien che ha davvero trasformato in poche battute l’incontro del cinema coreano a sfondo sociale con quello drammatico individuale, volto a confrontarsi con la solitudine interiore e la sofferenza violenta del corpo costretto a vivere dentro uno spazio e un tempo che non gli è proprio. La successiva raffinazione estetica di questi temi  è culminata con Primavera, estate.., La samaritana e Ferro 3 ed è coincisa con il riconoscimento internazionale, questo  inevitabilmente ha aperto un percorso di crisi interiore profonda che da Arirang a Pieta arriva fino al castrante e ingarbugliato Moebius. L’inestricabile e sottile confine fra odio e amore, la crudeltà dei sentimenti inespressi, dove il mutismo dei personaggi rimane l’unica difesa per proteggersi, il travalicamento sociale di relazioni impossibili, prima sottoproletario adesso più borghese, il desiderio e lo sfogo nel sesso come indispensabile rifugio nel dolore e nel piacere, sono le tematiche forti e dominanti che Kim Ki duk ha sempre elaborato nelle sue storie ma in Moebius si rivelano come una gabbia contenitiva dalla quale il suo autore non riesce più ad evadere, nemmeno ricorrendo all’estremo gesto violento. Un uomo tradisce la moglie che cerca di evirarlo per vendetta, non riuscendoci proverà con successo la stessa azione sul figlio, che comincerà un percorso che lo avvicinerà al piacere e al dolore. La disgregazione del nucleo famigliare è totale, anziché offrire rifugio la famiglia è la castrazione della vita, il simbolo della sua negazione. Al centro della vicenda (come sempre ricorre nelle linee guida del regista coreano) l’elemento femminile e la sua assenza determinano lo smembramento e la decadenza del potere maschile simboleggiato dall’evirazione. Senza il confronto con la donna, l’uomo non riesce ad esercitare la sua funzione di potere, l’assenza di dialogo, di contatto fisico e spirituale determina solo un’alienazione masturbatrice, degna di un’assoluta incomprensibilità del vivere.  In Moebius non c’è più l’innovazione liberatrice del racconto degli anni giovanili, né la mediazione astratta che abbatte regole e forme precostituite come nel periodo dello splendore festivaliero. Eppure se si riesce ad arrivare al termine del film (ma gli estimatori di Kim e i cinefili non faticheranno, astenersi invece perditempo ironici..) quella preghiera, il rituale davanti al Buddha, la stessa statua che in casa nasconde l’arma letale, non è una semplice liberazione da un incubo claustrofobico, paradossalmente diventa lo shock più forte che specialmente nella seconda parte della vicenda sembra un po’ troppo cercato.  Alcuni brevissimi flash pittorici subito poi messi da parte, ci riportano  a quell’immagine e quel cinema che Kim forse non farà più, accomunando Moebius  nella forma ad un’altra pellicola maledetta quanto il suo discusso autore, Antichrist di Von Trier che mostra quella estetica appagante e riempitrice che produce inganno e irrealtà. Così Kim Ki duk quanto mai essenziale, ridisegna, con la camera incerta e tremolante che non fa che aumentare l’angoscia, i confini di una folle e lucida solitudine di un corpo filmico ferito e martoriato come atto d’accusa verso qualcosa che l’uomo e la sua modernità non sa superare. Da una  dichiarazione del regista alla stampa:” “….  e non racconto l'universo femminile coreano, nessun film lo fa, non tutte le donne sono come la madre o l'amante. Va detto però che la donna coreana di oggi è il risultato del comportamento degli uomini nel passato”.

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