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Rollerball

Regia di Norman Jewison vedi scheda film

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La recensione su Rollerball

di Kurtisonic
8 stelle

Cinema di lotta e di governo, Rollerball film di genere fantascientifico sportivo possiede l’ambizione di voler trasmettere  una profetica dose massiccia di sociologia futura, in realtà più percepito per la superficialità spettacolare del gesto sportivo, in linea con una eterogeneità rappresentativa tipica di quegli anni e rivolta ad un pubblico non ancora troppo assuefatto alla violenza più esplicita. Nella ormai non troppo futuribile società globale del 2018 il mondo è uniformato dai poteri economici, senza ideali, conflitti e divisioni. Apparentemente il regista Norman Jewison realizza quella visione egualitaria di pace amore e libertà che ha movimentato le grandi lotte sociali degli anni settanta. In realtà usando la chiave simbolica del modello incarnato dal campione sportivo del rollerball, Jonathan E, mette in discussione il senso, l’utopistica manifestazione di legittime aspirazioni per il miglioramento della condizione umana. Nel futuro di Rollerball il potere rifornisce (semplificando un po’ eccessivamente) e soddisfa ogni bisogno dell’essere umano , ma per controllare l’indomita e naturale componente aggressiva  convoglia nello sport la valvola di sfogo della violenza, in scontri estremi e senza limiti, assistendo ai quali le folle fanno confluire le proprie tensioni e le proprie frustrazioni latenti.  Dove Rollerball pecca in ingenuità e lungimiranza è nella ritualità pubblica della manifestazione “sportiva” che ricorda alquanto le lotte dei gladiatori nella Roma antica. Quelle folle adoranti e in preda a delirio mistico identificativo, sono tuttavia sotto controllo, restano spettatori fino in fondo, mentre oggi con più cinismo e realismo sappiamo come le folle siano manipolate per sentirsi parte integrante dello spettacolo, perché povertà ingiustizie e conflitti non sono spariti affatto dalla faccia del pianeta e non sono gestibili con strumenti di condizionamento parziali, il sopruso e la miseria culturale devono attecchire dentro ogni seme di ragione per essere urlato in uno stadio, dentro uno schermo, o davanti a un pubblico ammaestrato. Il protagonista Jonathan, un ottimo James Caan, è ai vertici del successo da troppo tempo, viene invitato a ritirarsi senza che lui accetti, anzi cercherà di capire i motivi di quella strana richiesta. In un crescendo di violenza e di tensione emotiva giocherà le ultime tre partite del campionato, dove si costruirà una diversa identità, una dimensione individuale coerente scontrandosi  con la volontà dei potenti. La regia, nonostante ricorra a contesti scenografici e sonori che riportano lontanamente a Kubrick, aiutata dalle riprese frenetiche del gioco sembra disunirsi un poco, la sceneggiatura scopre qualche debolezza di troppo, ma il racconto resta avvincente e per niente scontato. Il contenuto morale del film verrà sublimato nel gesto finale di Jonathan, trasformerà l’idolo delle folle in una tragica maschera umana, senza demonizzare il contesto ideologico sottolinea la sua unicità di singolo, ma all’interno dell’arena di gioco, evidenziando non solo la mancanza di argini culturali, ma anche il bisogno di regole che non siano solo strumenti di coercizione. Jonathan è destinato a vivere dentro il suo circo, rappresenta la furia vendicatrice  che si ribella all’oblio materiale, sconfessando la sua stessa natura di vincente, in una visione scettica e dolorosamente anticipatrice di alcuni aspetti presenti nel nostro quotidiano. 

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