Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
Tematica ossessivamente al femminile che tripudia al genti sesso il riconoscimento di una superiorità intellettiva e di carattere a cui affidare il futuro delle generazioni.
Forse già dal titolo si capisce la scarsa ispirazione di questa storia: “Allacciate le cinture” fa parte di un’allegoria troppo banale per darci una qualche informazione significativa. E forse la pellicola è andata sviluppandosi strada facendo all’interno di uno schema predefinito intriso di luoghi comuni e tecnicismi già sperimentati ma che qui non hanno alcuna efficacia. E’ questo il caso della scomposizione del racconto in pezzi che poi vengono rimontati con un ordine non cronologico, alla ricerca del finale a sorpresa che, in effetti, qui non c’è. O, ancora, raccontare il cancro con leggerezza ed umorismo per esorcizzare la paura che è in tutti noi. Ma è pur sempre il racconto di un maestro del cinema e questo ci spinge a metterci alla ricerca del significato più profondo, del messaggio più vero che invece non sembra apparire a prima vista. Una storia semplice con due protagonisti: il mondo al femminile da una parte, intriso di senso di responsabilità, gravato di tutti i problemi del quotidiano, dalla casa ai figli, alla malattia -ma anche sostenuto dalla capacità delle donne di superare le prove più difficili con stoico sacrificio- e quello maschile dall’altro, inaffidabile ed immaturo, ma indispensabile strumento di piacere sessuale. Ogni tematica è ossessivamente al femminile e tripudia al genti sesso il riconoscimento di una superiorità intellettiva e di carattere a cui affidare il futuro delle generazioni. La donna può concedersi un uomo giocattolo perché consapevole di sopperire con la propria forza alle mancanze del partner; può scoprire che l’amica l’ha tradita e perdonarla perché la solidarietà tra donne è più importante dell’amor proprio; se ammalata, può rinunciare al sostegno dell’uomo che ama perché sa di dover contare e di poter contare solo su di se. L’omosessualità maschile fa parte della visione di questo mondo al femminile di Ozpetek che include il personaggio gay nel gruppo delle protagoniste e al pari di esse, e forse anche di più, gli conferisce per coraggio, senso di responsabilità, sensibilità ed abnegazione, un ruolo incontrastato di eroina. A qualche spettatore potrà sembrare il solito stucchevole ben pensare: “gay è bello”, “gay è normalità”, etc.. D’accordo, non abbiamo più bisogno che qualcuno ce lo ricordi e sono sempre di più quelli che ripudiano l’omofobia nella nostra società. Ma non possiamo rimproverare a chi ha sofferto nei lunghi anni di lotta per il riconoscimento del diritto di esistere, di ricordare ferite ancora aperte e rivendicare qualità intrinseche di una diversità che non offende ma anzi, il più delle volte, rende onore al genere umano.
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