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Gabrielle - Un amore fuori dal coro

Regia di Louise Archambault vedi scheda film

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La recensione su Gabrielle - Un amore fuori dal coro

di OGM
8 stelle

Essere diversi e dover fare i conti con la normalità. Quella della vita vera, che prevede di essere autonomi e responsabili di fronte alle proprie scelte. E che propone sfide difficili, come l’emozionante avventura dell’amore e la dura prova della separazione. Per Gabrielle, una ventiduenne canadese affetta dalla sindrome di Wilson, è arrivato il momento di iniziare a camminare da sola, senza essere costantemente guidata e sorvegliata. È lei a stabilirlo, contro il parere della sorella maggiore Sophie, della madre,  e dell’assistente sociale a cui è affidata durante il giorno. Non vuole più abitare in una comunità di diversamente abili, dove l’esistenza di tutti si svolge secondo un programma ben preciso, senza spazi di libertà né momenti di intimità. Il desiderio di Gabrielle è essere una donna, a tutti gli effetti, con una propria casa ed un compagno. Garielle ama Martin, un ragazzo che frequenta lo stesso circolo ricreativo, e canta insieme a lei in un coro chiamato Les Muses de Montréal. Musica e sentimento saranno, per lei, le chiavi di accesso all’età adulta, in cui, tuttavia, dovrà entrare in maniera furtiva, con la fuga, conquistando di nascosto quel diritto all’autodeterminazione che è certamente disumano negarle. L’interprete principale del film di Louise Archambault è una ragazza che, come la protagonista, è malata dalla nascita, ma possiede un naturale talento artistico: sulla scena si muove con una grazia piena di gioiosa ed infantile poesia, e ci incanta con la sua semplice, però intensa, adesione alla cose della vita. Gabrielle vive ogni momento con grande partecipazione, sottolineandolo con sorridente allegria o con corrucciata tristezza,  e rendendolo sempre e comunque importante. Il suo tempo è fatto di istanti che lasciano il segno, di dettagli che sono motivi di sorpresa, di piccoli passi che la allontanano da una umiliante situazione di dipendenza per portarla alla scoperta del mondo. Per Gabrielle, crescere significa osare, affrontare il rischio del fallimento e dell’incomprensione, perché quello è l’unico modo per prendere coscienza delle proprie possibilità, distinguendo i limiti insiti nella sua condizione da quelli artificiosamente imposti dall’esterno, in virtù di un pregiudizio, o anche solo di un’irrazionale forma di paura. In questa storia, Gabrielle è l’unica a non temere mai nulla. I suoi tutori si preoccupano enormemente per lei, il suo fidanzato si lascia intimorire dai divieti di una madre eccessivamente apprensiva, ma lei, invece, a dispetto di ciò che gli altri pensano e dicono, procede sicura per la sua strada. Non ha dubbi, perché sa di avere ragione: nessuno può pretendere di decidere al posto suo. Questa determinazione avvolta nella morbidezza di una femminilità fanciullesca,  e questa coerenza sfumata dalle fantasiose sbavature del cosiddetto handicap, creano, intorno alla figura di Gabrielle, un adorabile alone di luce multicolore. Una nuvola carica di vistose gradazioni surreali, eppure splendida e leggera come un sogno.
 
Gabrielle ha concorso, per il Canada, al premio Oscar 2014 per il miglior film straniero.  

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