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Che strano chiamarsi Federico

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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La recensione su Che strano chiamarsi Federico

di alan smithee
8 stelle

FESTIVAL DI VENEZIA 2013 - FUORI CONCORSO
Dopo prove sempre più rarefatte e sempre meno convincenti, è davvero un sollievo ritrovare un Ettore Scola ottantenne in forma smagliante, mentre affronta col cuore aperto e molta voglia di raccontare pure se stesso (ma con rispetto e tenendosi sempre un pò in disparte rispetto al suo "fratello maggiore" - lo definisco così solo in riferimento ai dati anagrafici, non mi permetterei mai un inelegante confronto tra due giganti della nostra cinematografia), gli esordi del grande Federico in una Italia che con ottimismo e buona volontà cercava di tirarsi su le maniche e ripartire dopo i devasti di due guerre. La scelta felice e il punto forte del bel film è la perfetta commistione tra fiction e documento, che si scambiano le parti in più occasione conferendo brio all'opera nel suo complesso: e dunque al bianco e nero della fiction sugli esordi come fumettisti satirici brillanti ed apprezzati prima di Fellini, più estroverso e "attaccabottone", e poi di Scola, giovinetto timido e schivo, ma non meno brillante e di battuta, entrambi passati per la redazione disinvolta e quasi "paterna" del Marc'Aurelio, che vedeva tra le firme sagaci coinvolte pure lo Steno di tanta futura commedia all'italiana e di Totò, si passa al colore di immagini e spezzoni di interviste al Federico e ai suoi attori più rappresentativi (strepitoso Gassman in uno dei suoi tanti deliri irresistibili), fino a tornare alla fiction con la ricostruzione, tramite controfigure che impersonano entrambi i registi, delle abituali serate trascorse alla guida della mercedes in una Roma dei piaceri e delle piccole follie notturne, ma anche delle confessioni a cuore aperto. In questo contesto Scola riesce a fondere registrazioni vere di colloqui di Fellini, con una storia compiuta scritta appositamente per il film in risposta a quegli spezzoni ritrovati, grazie anche all'intervento (doveroso ed inevitabile, oltre che azzeccato e perfetto) di uno strepitoso Sergio Rubini nel ruolo di un pittore di strada che si lamenta per non saper rendere bene pittoricamente le mani di chi sta disegnando ("perché disegnare le mani è così difficile? solo Caravaggio e pochi altri ci sono davvero riusciti"). Ecco che in questo lungo percorso in macchina il film tocca il suo livello più alto e si trasforma in qualcosa di più di un semplice prodotto celebrativo e di omaggio a quello che viene comunemente (e propriamente) considerato come il più grande, visionario e geniale regista italiano mai esistito. Con  grandi momenti di cinema e forte commozione tra il pubblico, entusiasta e con gli occhi lucidi mentre abbandona la sala.

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