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La gente che sta bene

Regia di Francesco Patierno vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su La gente che sta bene

di M Valdemar
3 stelle


L'agente che sta bene.


Mah. Incomprensibile.

La gente che sta bene è un film brutto, sbagliato e confuso. Molto confus(ionari)o. Un tentativo maldestro di trovare una via italiana del "dramedy", ma la direzione è (quantomeno) incerta, la meta scelta a casaccio, il passo è zoppicante, sconnesso, offuscato; come di chi, giunto al parossismo dell'ebbrezza, girovaga urtando un po' ovunque (e chiunque) causando danni a destra e a manca.

Cercando di cavalcare l'onda lung(hissim)a - nonché popolare quanto populista - della questione "crisi", il film si smarrisce clamorosamente nelle nebbie di una pressoché totale incapacità di seguire una rotta logica, sia nelle coordinate narrative che in quelle tematiche, introspettive. Cambi di marcia repentini (nel registro, nei toni, nelle espressioni facciali di un Bisio in modalità "seria" in grave difficoltà: il termine inadeguatezza assume nuovi metri di paragone), e d'una grossonalità disarmante, certificano uno stato delle cose caotico, fumoso, melmoso; laddove, invece, l'equilibrio tra i registri della commedia e del dramma richiede rigore, delicatezza di tocco, soavità e incisività allo stesso tempo.

Non si comprende cosa intenda dire (e come dirlo, come metterlo in pratica), e dove voglia andare a parare, questo ultimo lavoro di Francesco Patierno, che dopo il buon esordio con Pater Familias, si è perso per le infinite derive della commedia nazionalpopolare (dallo scarso Cose dell'altro mondo si porta in dote pure la macchietta Abatantuono).

Non funziona né si salva nulla, per farla breve. La storia rivela un'inconsistenza, un'insensatezza, un'incoerenza imperdonabili; i personaggi, pensati e scritti male, sono limitati in dinamiche ed evoluzioni improbabili, finendo col sembrare sciocche marionette di un teatrino fatiscente, poverissimo (nell'anima e nelle idee ancor prima che nell'aspetto); l'umorismo è rozzo e dozzinale (tra un «ti facevo più calvo» riveniente direttamente dallo show tv Zelig, scurrilità assortite e battute da caserma, letteralmente, il livello è sconsolante); il ritmo scema da subito, talché la noia è una seccante compagna di visione; le presunte riflessioni sulla società, sui tempi e sugli uomini, appunto, solo presunte.
Ma anche molli(cce), banali, strumentali; ed ambigue, innanzitutto: il protagonista, persona "orribile" come da (azzeccata) autodefinizione, che si salva per codardia per fortuna e per grazia divina, alla fine si redime e cambia [da horrible people a beautiful people: it's all realtive to the size of your steeple]. Si può così ricomporre il felicissimo quadretto familiare (però s'invertono i ruoli con la moglie: la morale è al sicuro!).

Quello sì, che sta bene.

Ma forse il titolo del film avrebbe dovuto essere L'agente che sta bene. Quello dell'onnipresente simpatico Bisio, s'intende, diventato oramai imprescindibile reuccio di commediole una peggio dell'altra.

 

 

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