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Sangue del mio sangue

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Sangue del mio sangue

di OGM
7 stelle

Ieri come oggi, l'uomo si nasconde. Lascia che sia il mito a parlare al posto suo. Si fa scudo delle sue leggende, delle sue idolatrie, che cambiano forma a seconda del tempi, ma che sono sempre le proiezioni dei suoi istinti primitivi. Le impronte di quelle leggi oscure che sono scritte nel sangue. E dalle quali solo la morte lo può liberare.

Raccontare. Immaginare fatti e un filo logico che li colleghi, tra loro e alle soggiacenti idee inespresse. Per Bellocchio la sfida si deve affrontare con un gesto semplice, che parli alla coscienza della gente, che non ammetta ambiguità, che non lasci margini di dubbio. Si può procedere alla maniera antica, in cui tutto si dice e tutto si vede; oppure secondo le tendenze dei giorni nostri, in cui l’allusione è funzionale all’effetto psicologico, utile a innescare la riflessione, oltre che generosamente incline ad offrire il fianco alle polemiche. Questo film attraversa il tempo cercando, in ogni epoca, quello spirito sinistramente infantile che ne costituisce il sottobosco mitico, in cui il male è il lato temibile della poesia, ed è lì che si nascondono, impunite, tutte le verità scomode. La superstizione religiosa e la caccia alle streghe.  La corruzione e l’ingiustizia delle moderne civiltà. I bassifondi del potere sono carceri oscure in cui alberga una volontà di morte, che rifugge la luce per poter continuare ad agire indisturbata,  coltivando il proprio gusto per i giochi macabri, che non procurano un vero piacere ma solo l’ebbrezza di opporsi alle leggi del Creato. Un prete suicida, Una suora seduttrice. Un notabile vampiro. Un pazzo truffatore. Nel Seicento, come nel terzo millennio, il peccato – contro l’ordine divino e sociale – è un marchio impresso nella carne, scritto nel sangue, nel fluido viscerale che contiene il codice genetico dei legami familiari e dei desideri ancestrali: essere santi, migliori, ricchi, liberi, più uguali degli altri e, soprattutto amati.  Sono le manie di grandezza che affliggono l’uomo nel suo piccolo, nel natio borgo selvaggio, nella clausura di un antico convento, nel segreto rifugio di una prigione abbandonata. È nel villaggio che tutti aspirano ad essere re, e tutti temono di essere sopraffatti, o di finire in disgrazia, additati al pubblico disprezzo. Lo stagno è il vivaio del marciume, tinto dei rassicuranti colori della tradizione, però nutrito di aria viziata, refrattario al sole e ad ogni apertura al  salubre vento del mondo.  Le due fiabe di questo film ci riportano, sia pur con gradazioni diverse, all’atmosfera degli apologhi classici, in cui ogni personaggio è la metaforica caricatura di se stesso, il tipo che esibisce istrionicamente il suo lato sbagliato, o che, al contrario, timidamente cela la sua rara saggezza. I due opposti versanti morali si fronteggiano in uno scenario in cui la natura – intesa qui come ruspante ambiente della quotidianità -  la fa da padrona, costringendo i suoi abitanti a comportarsi  secondo l’estro del momento, seguendo gli impulsi primitivi, e rispondendo quindi al dolore, alla paura, all’attrazione, alla vergogna con schietti e subitanei moti del cuore.  Quelli siamo noi, come saremmo se non pensassimo, se ci lasciassimo travolgere dal ruolo assegnatoci, portandolo alle estreme conseguenze: essere fino in fondo un inquisitore, un fratello, un figlio, un soldato stanco, un uomo solo, una donna triste, oppure un’anima dannata, un individuo appartenente al passato o al futuro,  un malato di mente, un custode del nulla. Non esiste via di uscita. Se non quella definitiva, radicale, che non ammette ritorno. Quella che compie  il senso azzerandolo, consentendo alla ruota di riprendere daccapo il suo giro, partendo da premesse sempre perentorie, senza altra meta possibile che il paradiso o l’inferno.   

 

Lidiya Liberman

Sangue del mio sangue (2015): Lidiya Liberman

 

 

Roberto Herlitzka

Sangue del mio sangue (2015): Roberto Herlitzka

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